Grandina violentemente e fisso il vuoto con disprezzo mentre con le braccia sostengo il cadavere decapitato di un sentimento antropomorfo con il quale non ho mai scambiato uno sguardo. La rabbia tende i suoi muscoli fino a esplodere. Mi allontano e inizio a camminare a cavallo di una linea di mezzeria mentre le auto mi passano attraverso. La mia ombra mi spintona e mi insulta, ma d’un tratto, mentre ride ed è disattenta le conficco un punteruolo arrugginito nel petto e lascio che le mie spalle osservino la sua agonia eterea. La grandine picchia sempre più forte e trascina via alcuni lembi della mia pelle con la stessa noncuranza di un chirurgo nato per uccidere. Le ancelle del tempo cuciono i sudari mentre osservano le mie traversie in una grande sfera di carbonio. A centinaia di chilometri dal posto in cui mi trovo c’è un uomo che brandisce siringhe e flaconi e si muove con circospezione: si tratta di un medico che vuole praticare l’eutanasia su una statua della Madonna per arrestare il pianto sanguigno e il dolore illusorio di quest’ultima. Fuori dalla circoscrizione della mia consapevolezza le stelle vengono inghiottite da entità sconosciute e nuove galassie spuntano come se fossero escrescenze dell’universo. Mi avvicino a un lago vuoto, fingo che ci sia dell’acqua ed eseguo un’abluzione atea. Spalanco la cassa toracica, ma non riesco a calamitare quei frammenti di energie cosmiche che in questo scenario vivente sono comunemente chiamati “sentimenti”. È tardi e anche se non ho una sveglia riesco a destarmi.
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