Non me la passo bene in questo periodo, ma ho già affrontato molti momenti negativi e non temo questo ennesimo calo emotivo. La bellezza della primavera accentua puntualmente il mio vuoto interiore e mi affatica l’esistenza. Non è facile stare soli in un’epoca che esalta l’individualismo solo quando è sinonimo di arroganza, ma so che esistono sfide più difficili che per fortuna non devo affrontare. Quando mi sento triste e al limite delle forze spendo un po’ di tempo a guardare le grandi sofferenze del mondo e ogni volta finisco per ottenere un mix di sollievo e imbarazzo. Ci sono tante cose che non riesco a comprendere e tante sensazioni che non sono ancora in grado di calamitare verso me. Un po’ di retorica e qualche banalità banchettano in queste righe, ma accetto tranquillamente la loro presenza perché non ho propositi letterari. Mi voglio bene e parlo molto con me stesso, ma per quanto mi è possibile cerco di evitare le tentazioni dell’egocentrismo. I momenti di inquietudine si susseguono velocemente uno dopo l’altro, ma talvolta hanno dei risvolti positivi che mi consentono di osservarmi con attenzione. Ogni tanto le angosce mi fanno inarcare la schiena e m’incupiscono. Confido nell’avvento di giorni migliori, ma non ho intenzione di vegetare in attese mummificanti. Cerco di capire cosa fare e il modo migliore per farlo perché sono l’unico artefice della mia esistenza e il solo responsabile del suo andamento. Colleziono colpe e meriti di fronte ai limiti che m’impongo senza rendermene conto.
Mi piace la primavera per tutti quei motivi banali che a tempo debito si leggono sulle antologie delle scuole medie. Durante gli ultimi due inverni ho lavorato molto sul mio fisico e mi sono accorto che la relazione tra psiche e corpo è più intensa e importante di quanto certuni sostengano. Il mio assetto psicofisico mi consente di sostenere abbastanza bene la solitudine. Tutto il tempo che ho trascorso da solo mi ha tenuto lontano da eventi trascurabili e mi ha dato una chiave di lettura in più per tentare di capire cosa sia giusto o sbagliato per la mia vita. Non sono in grado di dire cosa sia la felicità, ma penso che non si tratti di quella serie di ambizioni deleterie che propinano gli esperti di marketing e le credenze millenarie. Talvolta mi trovo spaesato e cado in stati depressivi dai quali fortunatamente riesco sempre a uscire da solo. Lo stato d’animo è soggetto a molte influenze e talvolta è difficile comprendere le ragioni della sua condizione. Non è facile sottrarsi alle decisioni della casualità e rinunciare alle comodità fataliste. Credo che la giustificazione delle proprie azioni sia l’anestetico esistenziale più diffuso al mondo. È difficile soffrire o gioire per gli altri, ma penso che non ci sia un altro modo per rincorrere veramente la propria serenità. L’immediatezza dell’aspetto più bieco e nocivo dell’egoismo fornisce solo gioie sterili ed effimere che nel tempo si accumulano e irradiano frustrazione. La logica più elementare impone sempre di agire per il proprio tornaconto, ma se la felicità, come altri moti dell’animo in accezione laica, è una manifestazione metafisica penso che sia indispensabile rendersi conto dell’inutilità della logica ordinaria. La paura di perdere tempo e occasioni sono un rischio concreto che spesso mi spaventa, ma trovo molto più terrificante la serenità apparente che viene ostentata nel silenzio dell’autoinganno.
Era una giornata bellissima. Prima di uscire preparai le mie figlie predilette: riempii i loro caricatori uno dopo l’altro. Ero così preoccupato che tutto fosse a posto che mi dimenticai di fare colazione. Uscii di casa e mi diressi al campus per la mia ultima lezione. Mi ero messo in testa di trovare quella troia e di farle pagare tutto, ma le cose andarono in un altro modo. Ci presi gusto a stendere quelle persone innocenti, una dopo l’altra, senza una ragione precisa. Ricordo nitidamente il momento in cui entrai in quell’aula pacifica. Ordinai a quei bastardi di mettersi in fila e sparai contro di loro per sfogarmi. Non avevo mai avuto il diritto di uccidere qualcuno, ma fortunatamente lo ricevetti in omaggio quando acquistai le mie due pistole. Dopo il massacro rimasi in silenzio per un po’ e per diversi minuti ebbi la sensazione di trovarmi in un film. Era davvero una giornata bellissima. I rivoli di sangue toccavano le mie scarpe e il mio volto era una maschera rossa. Il cervello di una ragazza a cui avevo sparato era completamente spappolato e la posizione in cui era riversa a terra mi divertì cosicché per alcuni secondi non riuscii a fermare le risate. In quel posto i ragazzi della mia età andavano per studiare, ma quel giorno ebbero una lezione differente. La polizia ormai aveva circondato la zona e faceva continui appelli agli studenti per evitare che mi incontrassero. Mi sentii discriminato. Prima di spararmi non fui in grado di ricordare perché avevo iniziato ad abbattere quei corpi con tanta ferocia. Caddi come corpo morto cade. Adesso sono disteso sul tavolo di un obitorio e voglio riposare per un po’ di tempo.
È successo un’altra volta. La follia di un uomo armato ha posto fine a oltre trenta vite. Di fronte a questi eventi tragici si alzano sempre onde di emotività e cordoglio che distolgono l’attenzione dai motivi reali della violenza. Non sono abbastanza empatico per addolorarmi per una tragedia che non mi riguarda e penso che buona parte della costernazione pubblica sia dettata solo dalle regole non scritte del quieto vivere. Sono “affascinato” unicamente dal lato estetico del massacro che è avvenuto ieri a Blacksburg. Ciò che scrivo può sembrare aberrante, ma penso che qualsiasi evento colossale, al di là delle sue connotazioni morali, possa essere descritto e analizzato come una manifestazione della natura. Riconosco che sottolineare principalmente l’aspetto più asettico di una tragedia umana possa essere un’azione di cattivo gusto, ma mi limito ad applicare e ad allargare il concetto di “sublime dinamico” che fu caro a un crucco di qualche secolo fa. Se tra le vittime cadute in quel campus ci fosse stata una persona a me cara probabilmente non avrei scritto questo vaneggiamento velleitariamente filosofico. Chi, come me, non ha legami affettivi può solo pontificare liberamente su argomenti che si trovano ad anni luce dalla propria empatia, ma penso che in fin dei conti basti rendersene conto per evitare che dei punti di vista un po’ inconsueti si cristallizzino in convinzioni pericolose. In passato ho scritto qualcosa su una vicenda analoga: il massacro di Columbine. Ho preso in prestito il titolo di questo scritto da una celebre canzone di Ill Bill nella quale il rapper statunitense si cala nei panni di Eric Harris, uno degli autori del massacro di Columbine, e ne illustra il sadismo, la rabbia e il sarcasmo.
Un’immagine dal parossismo notturno
Pubblicato domenica 15 Aprile 2007 alle 23:57 da FrancescoMi trovo sotto un salice piangente che gronda sangue. Attorno a me l’ambiente è incantevole, ma la sua bellezza stona con la mia presenza. C’è una forte dissonanza tra la forma reale degli elementi che adornano il giardino sconosciuto in cui mi trovo e la percezione che ho di essi. Ci sono dei rumori lontani e trascurabili che di tanto in tanto precipitano in tutte le direzioni. Attraverso le foglie del salice piangente scorgo una serie di fontane tutte uguali dalle quali sgorga dell’acqua che assume colori e odori in base al modo in cui la si osserva e la si desidera. La parti intangibili di alcune persone si tuffano ripetutamente in una piscina stretta e senza fondo. Qua il tempo non c’è, non esiste, o forse io e gli ospiti di questa proiezione ci siamo dimenticati di considerarlo. Il mio sguardo segue la moda del luogo e si perde nel vuoto, ma il vuoto non ricambia e tutto sembra vacuo. Inclinando il capo all’indietro si possono osservare dei pianeti lontanissimi che bruciano sulla parete azzurra. Qualsiasi convinzione si annulla in questo luogo ameno. La felicità, l’infelicità, l’indifferenza o l’atarassia non hanno la possibilità di assumere una forma in questa dimensione ineffabile. La morale e la logica della mia specie non attecchiscono e non servono a nulla di fronte all’assenza fisica e metafisica di qualsiasi dualismo e di qualsiasi unità. Sono ancora sotto il salice piangente, ma il sangue non gronda più e l’aria si è fatta rappresa.
Oggi pomeriggio sono andato nuovamente a Grosseto in treno e come al solito ho portato la bicicletta con me. Ho pedalato per un po’ lungo le vie del centro, poi mi sono spinto fino a Stiacciole e quando sono tornato indietro ho incontrato un gruppo di zingari che giocavano a al cosiddetto “calcio tennis” in un parcheggio vicino via Monterosa, di fronte a “Rosi Pneumatici” e più precisamente lungo Viale Europa. Mi sono fermato per un po’ a guardare i rom fino a quando mi hanno invitato a giocare e così ho passato il resto del pomeriggio in loro compagnia. Ho sfoderato qualche volgarità che ho appreso da Bogdan e ho trascorso un paio di ore piacevoli tra passaggi, palleggi e imprecazioni romene. Ho persino prestato la mia bicicletta a un ragazzo che era in squadra con me e ho messo in palio due euro per una partita tra due ragazzi. A un certo punto sono spuntate le mogli dei miei compagni di gioco e hanno iniziato a discutere con i mariti svogliati e pieni di birra. Tra gli avventori c’era un rom di mezza età pesantemente in sovrappeso che rideva, beveva e guardava gli altri. Un ragazzino del gruppo, che parlava un italiano abbastanza fluente, mi ha proposto di scambiare la mia bicicletta con la sua, ma non ho accettato e un po’ mi è dispiaciuto. Gli altri per chiamarmi dicevano: “Ehi amigo”. Sono queste le piccolezze che mi fanno sorridere. Un pallone consumato, macchine veloci sullo sfondo, righe disegnate in terra con il gesso, cattivi odori e delle esistenze semplici con usi e costumi antichi: oggi non potevo chiedere di meglio.
Mi trovo ancora una volta nella parte più isolata di una notte fonda. Accanto a me c’è solo dello spazio vuoto e una bottiglia di Coca-Cola. L’altro ieri ho preso in mano una chitarra elettrica per la prima volta e ho iniziato a fare qualche accordo e qualche vano tentativo di eseguire “Stairway To Heaven”. Continuo a studiare giapponese da solo, ma il ritmo del mio apprendimento e un po’ calato a causa della mia attività fisica e delle tonnellate di dischi che ascolto quotidianamente. Questa estate non ho intenzione di ignorare il mare e spero di ripetere la breve traversata dell’anno scorso. Mi sento bene e sono soddisfatto di me stesso, ma devo ammettere che lo stato dei miei rapporti sociali è ancora pietoso e non dà segni di miglioramento. Non mi interessa frequentare gente che non mi ispira per evitare di stare da solo, ma non nego che talvolta io senta il peso di questa presa di posizione. Giugno muove passi felpati verso me. Tra meno di tre mesi avrò ventitré anni e per il mio compleanno spero di ricevere un buono di diecimila euro da spendere in dischi o un viaggio sulla Soyuz. In questo periodo sono tremendamente materialista e suppongo che la mia attuale tendenza ad apprezzare ciò che è tangibile sia un automatismo della mia personalità per ovviare alla mia stasi emotiva. Dovrei trovarmi una ragazza invece di perdere tempo ad accostare parole ricercate per compensare i miei vuoti emotivi, ma sono troppo stupido per non compicarmi la vita.
Ogni cosa può diventare un feticcio e per questo non mi meraviglio che buona parte della popolazione terrestre veneri le divinità antropomorfe che essa stessa ha creato nel tempo. Credo che l’idolatria sia una moda millenaria. Non vedo differenze sostanziali tra l’adorazione per il cosiddetto “padreterno” e l’idolatria per un trend più materiale e meno metafisico. Penso che esistano pochi fedeli e molti tradizionalisti. La passione di Cristo è una passione per menti pigre, ma ogni volta che qualcuno tratta l’argomento riesce a incassare qualche soldo in libreria o al botteghino. Gesù di Nazareth ha curato molto la sua immagine e nel corso dei secoli ha creato un impero economico insieme alla sua combriccola apostolica. Non ho mai letto la Bibbia, ma suppongo che sia un vecchio corso di marketing mascherato da passatempo ermeneutico. Mi chiedo a cosa serva redigere un libro se poi ogni individuo ne riscrive le pagine con la propria lettura. La sacra Sindone non è altro che un asciugamano personalizzato scambiato per un sudario. Quando Cristo tornerà da Tahiti con un volo della Cathay Pacific Airways prenderà il Santo Graal con la mano destra e stringerà una lattina di Sprite nella sinistra. Non credo che Gesù Cristo sia esistito realmente, ma sospetto che sia stato il frutto della penna di un antesignano della letteratura fantasy. Amo le mie congetture estemporanee e mi sembrano meno ridicole del fanatismo di alcuni invasati. L’eufonia della religione risiede nelle sillabe blasfeme delle bestemmie che adopero quotidianamente per scandire le mie azioni. Non amo le etichette, ma apprezzo il mix di ateismo e miscredenza che mi consente ironia e libertà morale.
Chiacchiere con un ex lavapiatti clandestino
Pubblicato lunedì 9 Aprile 2007 alle 12:51 da FrancescoQualche giorno fa ho telefonato a Bogdan in quel di Bacau, in Romania. Mi ha aggiornato sulla sua vita e ho realizzato che questo ex lavapiatti clandestino non smetterà mai di mettersi nei casini. I dialoghi tra me e Bogdan sono fondati su un idioma particolare, ovvero un mix di italiano, inglese e rumeno. Durante l’ultima telefonata mi ha detto che un paio di mesi fa è riuscito a guadagnare cinquemila euro con quelle che lui definisce “combinazioni”, in altre parole degli espedienti al limite della legalità. Non ha fatto altro che ospitare a casa sua alcune ragazze intenzionate a venire in Italia per prostituirsi e immagino che abbia ricevuto il suo compenso da qualche spietato magnaccia dell’Est. Come al solito Bogdan ha lasciato i proventi di questo ennesimo exploit sui tavoli del poker e del black jack. Spesso lo chiamo “coglione” a causa del suo vizio d’azzardo, ma ogni volta con nonchalance e con una voce da ragazzino irrequieto mi dice: “Eh, ma lo sai com’è quando hai i soldi!”. Tra l’altro la sua ragazza l’ha mollato a causa del business a cui ha preso parte e che ho descritto poc’anzi. Pazienza. Mi piacerebbe andare a Bacau per fare una visita a Bogdan, ma temo un po’ la nomea malavitosa della Romania e per adesso non voglio provare l’ebbrezza di sentire la lama di un coltello sulla gola. Non ho motivo di dubitare delle cose che mi ha raccontato, ma non escludo che ne abbia enfatizzato alcuni aspetti. Infine mi ha detto che vorrebbe tornare in Italia per fare qualche soldo, ma non oso immaginare le sue prospettive lavorative. Che Ceausescu sia con lui.
Venerdì mi sono spinto nuovamente nei pressi dei confini delle mie capacità psicofisiche. La mattina ho preso il treno insieme alla mia fida bicicletta e sono andato a Grosseto, ma prima di procedere per la Scansanese mi sono fermato alla motorizzazione per sostenere l’esame di teroia per la patente. L’inizio dell’esame è stato ritardato di un’ora e ho approfittato del tempo morto per spendere undici euro da un barbiere scrupoloso. Le mie trenta risposte al quiz del cazzo sono risultate idonee e così per la sconda volta sono riuscito a superare la fase teorica della conquista della patente al primo colpo. Dopo la contentezza modesta e trascurabile dell’esito positivo dell’esame mi sono congedato dalla motorizzazione e sono andato a riprendere la mia bicicletta per percorrere di nuovo la Scansanese. Questa volta ho impiegato meno tempo per tornare a Orbetello e non ho provato le sensazioni nocive della volta precedente, ma ho faticato di più a causa di un sole scevro da qualsiasi orpello nubifero. Non mi ha intimorito la desolazione rustica delle frazioni comunali che ho incontrato nuovamente sulla mia strada. Mi sono goduto la discesa che inzia a Scansano e mi sono sentito al comando della mia esistenza. Non me ne è fregato un cazzo dei timori avveneristici che hanno tentato di infettare le mie tre ore di follia su due ruote. Ho bonificato emotivamente la Scansanese e ne sono contento, in più ho rimediato una mezza insolazione e adesso posso vantare un’abbronzatura degna del più sottopagato dei muratori. Mi sento bene.