È successo un’altra volta. La follia di un uomo armato ha posto fine a oltre trenta vite. Di fronte a questi eventi tragici si alzano sempre onde di emotività e cordoglio che distolgono l’attenzione dai motivi reali della violenza. Non sono abbastanza empatico per addolorarmi per una tragedia che non mi riguarda e penso che buona parte della costernazione pubblica sia dettata solo dalle regole non scritte del quieto vivere. Sono “affascinato” unicamente dal lato estetico del massacro che è avvenuto ieri a Blacksburg. Ciò che scrivo può sembrare aberrante, ma penso che qualsiasi evento colossale, al di là delle sue connotazioni morali, possa essere descritto e analizzato come una manifestazione della natura. Riconosco che sottolineare principalmente l’aspetto più asettico di una tragedia umana possa essere un’azione di cattivo gusto, ma mi limito ad applicare e ad allargare il concetto di “sublime dinamico” che fu caro a un crucco di qualche secolo fa. Se tra le vittime cadute in quel campus ci fosse stata una persona a me cara probabilmente non avrei scritto questo vaneggiamento velleitariamente filosofico. Chi, come me, non ha legami affettivi può solo pontificare liberamente su argomenti che si trovano ad anni luce dalla propria empatia, ma penso che in fin dei conti basti rendersene conto per evitare che dei punti di vista un po’ inconsueti si cristallizzino in convinzioni pericolose. In passato ho scritto qualcosa su una vicenda analoga: il massacro di Columbine. Ho preso in prestito il titolo di questo scritto da una celebre canzone di Ill Bill nella quale il rapper statunitense si cala nei panni di Eric Harris, uno degli autori del massacro di Columbine, e ne illustra il sadismo, la rabbia e il sarcasmo.
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