Mi trovo sotto un salice piangente che gronda sangue. Attorno a me l’ambiente è incantevole, ma la sua bellezza stona con la mia presenza. C’è una forte dissonanza tra la forma reale degli elementi che adornano il giardino sconosciuto in cui mi trovo e la percezione che ho di essi. Ci sono dei rumori lontani e trascurabili che di tanto in tanto precipitano in tutte le direzioni. Attraverso le foglie del salice piangente scorgo una serie di fontane tutte uguali dalle quali sgorga dell’acqua che assume colori e odori in base al modo in cui la si osserva e la si desidera. La parti intangibili di alcune persone si tuffano ripetutamente in una piscina stretta e senza fondo. Qua il tempo non c’è, non esiste, o forse io e gli ospiti di questa proiezione ci siamo dimenticati di considerarlo. Il mio sguardo segue la moda del luogo e si perde nel vuoto, ma il vuoto non ricambia e tutto sembra vacuo. Inclinando il capo all’indietro si possono osservare dei pianeti lontanissimi che bruciano sulla parete azzurra. Qualsiasi convinzione si annulla in questo luogo ameno. La felicità, l’infelicità, l’indifferenza o l’atarassia non hanno la possibilità di assumere una forma in questa dimensione ineffabile. La morale e la logica della mia specie non attecchiscono e non servono a nulla di fronte all’assenza fisica e metafisica di qualsiasi dualismo e di qualsiasi unità. Sono ancora sotto il salice piangente, ma il sangue non gronda più e l’aria si è fatta rappresa.
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