Sono nato più di ottomila giorni fa e inizio a sentirmi un po’ vecchio nonostante la mia età sia l’emblema anagrafico della giovinezza. Certe volte mi dispiace che il caso non mi abbia assunto nel mondo degli aborti e se potessi tornare nell’utero di mia madre forse insisterei con fermezza per aderire alla congrega della morte prenatale. Sono stato un feto inascoltato e ora che ho quasi ventitré anni sono contento di appartenere a questo mondo biologico, ma immagino che talvolta il mio piacere di vivere sia il frutto della mia abitudine di respirare. Ogni tanto la mia serenità intermittente lascia il posto all’ipocondria e quest’ultima non dimentica mai di ricordarmi la precarietà della vita, ma ormai sono cresciuto abbastanza per lasciarmi intimorire dall’ipotetico avvento di patologie devastanti. Certi giorni cammino nudo sotto grandinate di stress inspiegabile. Conosco l’origine del mio malessere saltuario e mi sto adoperando da anni per diminuirne l’azione corrosiva, ma in tutto questo tempo non ho notato progressi sensibili. Gli attacchi improvvisi e apparentemente ingiustificati di entusiasmo esistenziale rappresentano l’aspetto che più mi esalta della vita, ma non escludo che in futuro io possa imbattermi in fenomeni di maggiore intensità. Non conosco l’esistenza, ma solo ciò che ho vissuto e penso che questo limite gnoseologico mi accomuni a tanti altri individui e ai loro errori. A volte credo che riflettere sulla cosiddetta “realtà” sia tanto bello quanto melenso e che le proprie considerazioni trovino il tempo che una persona non riesce a rubare ai suoi vizi intellettivi.
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