Ieri sera al penultimo piano di un’enorme salagiochi ad Akihabara. Nella foto sembra che io abbia una paresi! Questa parte di Tokyo è stupenda e almeno una volta al giorno ci faccio un salto per mischiarmi nell’entusiasmo generale.
Oggi ho camminato molto, forse troppo. Sono partito alle nove di mattina da Ueno e sono arrivato nel primo pomeriggio al parco Meiji. Perché nelle foto ho sempre la stessa espressione? I miei muscoli facciali non brillano per fantasia. Ho attraversato Tokyo obliquamente e ho compiuto un vero pellegrinaggio verso il tempio Meiji. Durante la mia lunga marcia ho scattato un po’ di fotografie e ho ripreso alcune zone della città. Sono capitato a Harajuku, il quartiere alla moda, ma non mi è piaciuto molto. Preferisco le zone di Ueno, Ginza e Akihabara. Ho comprato una maglietta dell’Ajax! Beato consumismo. In un negozio a più piani ho adocchiato dei puzzle e altre cose che vorrei acquistare. In una via di Ueno ho visto dei capi di abbigliamento interessanti. Mi sono innamorato di Tokyo ed è possibile che io rinunci a fare una breve visita a Kyoto per concentrarmi solamente sulla vecchia Edo. Mi piacerebbe restare, imparare la lingua e fare la spola tra Tokyo e Orbetello. Mi trovo a mio agio in questa parte del mondo. Quando tornerò in Italia inizierò a studiare il giapponese da autodidatta. Ho un testo da seguire e tanto tempo libero. Sono felice che la mia follia estemporanea mi abbia catapultato nella capitale nipponica e mi sento un mezzo avventuriero per come ho organizzato questo viaggio solitario e per il modo in cui lo sto affrontando. Credo che la mia piacevole permanenza nel Sol Levante possa essere propedeutica per la mia vita italiana.
Anche oggi ho camminato molto e il mignolo del mio piede destro ne ha risentito. Sono stanco e un po’ rincoglionito. Il Giappone mi piace per la sua lontananza dall’Italia e non per la sua bellezza endemica. Tokyo è puntuale, frenetica, ordinata e pulita. L’assetto della società nipponica è diametralmente opposto a quello della società italiana. Finora ho visto scolaresche disciplinate, studentesse pudiche e sensuali, lavoratori alacri e grandi masse silenziose in mezzo a rumori avveniristici. Questa città è stupefacente e alienante. Mi spaventano i ritmi nipponici a causa della mia abitudine al pressapochismo italiano e alla sua trivialità. Mi chiedo se la felicità si possa scorgere meglio da un paese di mafiosi e retrogradi come l’Italia o da una nazione di api operaie come il Giappone. Quando tornerò nella mia terra di omertosi sistemerò tutto il materiale che sto producendo ed elaborerò un resoconto articolato sulla mia esperienza solitaria nel Sol Levante. Per adesso ho l’impressione che Roma e Tokyo siano agli antipodi, un po’ come me e il sesso. Concludo queste cenni virtuali con una foto di stamane. Talvolta le piccole cose rappresentano grandi differenze e credo che il cartello dietro la mia testa di cazzo ne sia un esempio.
Ieri ho camminato per otto ore. Sono stato a Roppongi e ho visto la Tokyo Tower. Ho passeggiato per Shibuya e ho comprato il pranzo in un piccolo market. Due tramezzini e un piatto di spaghetti. Non ho difficoltà a farmi capire. Certo, non posso intrattenere una discussione di teoretica, ma non ho problemi a fare acquisti. Ieri mattina, vicino alla Tokyo Tower ho pronunciato “konnichiwa” in risposta al “good morning” di una guardia giurata: ormai sono pronto per sostituire Shinzo Abe. Non sto spendendo molto e non ho ancora tirato fuori uno dei miei ventisette biglietti da 10000 yen. Devo ancora decidere quando recarmi a Kyoto. Non è difficile muoversi in metropolitana e le indicazioni in inglese semplificano notevolmente la vita agli stranieri che non conoscono il giapponese. Per strada ho incontrato altri occidentali impegnati nel lavoro. Ieri sera, prima di tornare in albergo, ho raziato un distributore automatico a colpi di 100 yen per portarmi in camera qualcosa da bere di buono e analcolico. Oggi andrò a Ginza e mi perderò per qualche ora nel territorio circoscritto dalla Yamanote Line.
Il volo verso Narita e il primo impatto nipponico
Pubblicato lunedì 5 Febbraio 2007 alle 22:37 da FrancescoAd Amsterdam sono salito a bordo del 777 della KLM attorno alle due del pomeriggio dopo i controlli di routine. Hostess bellissime hanno riverito cortesemente il carico umano dell’aereo per undici ore. Sul retro di ogni sedile si trovava un piccolo monitor sul quale era possibile selezionare vari servizi: film, giochi, informazioni turistiche e il tracking dell’aereo. Ho passato il volo accanto a un signore olandese con il quale ho scambiato qualche parola in inglese. Mi ha detto che l’Olanda è il futuro del turismo e che un amico di sua moglie lavora a Casale Monferrato, poi mi ha accennato qualcosa del suo lavoro: a quanto ho capito si occupa del trasporto di qualcosa tra l’India e il Giappone. “Holland is the new Riviera”. Durante il volo ho dormito a fasi alterne e più di una volta ho declinato gentilmente le offerte alimentari di una hostess nipponica che avrei sposato seduta stante con un rito appartenente a una qualsiasi delle tante e fantasiose religioni che galleggiano sul globo. L’aereo ha sorvolato gli Urali, poi la Siberia e la Mongolia oltre, ovviamente, zone di cui non ricordo né il nome né l’ubicazione sul Risiko della Casa Bianca. Ho seguito per un po’ il tracking dell’aereo sul monitor del mio posto e ho trascorso il viaggio tra colpi di sonno e riflessioni esistenziali. Sono arrivato a Narita alle dieci e venti di mattina. Ho compilato un questionario nel quale ho dichiarato di non avere esplosivi né droghe. Ho dovuto attendere fino a mezzogiorno per cambiare i miei euro in yen e con i primi mille ho comprato il biglietto del Limited Expres per raggiungere Ueno attraverso la Kensei Line. Il tragitto in metro è durato ottanta minuti durante i quali ho visto case e casette ai margini della capitale nipponica. Ci ho messo un po’ di tempo per trovare il mio albergo, il New Izu Hotel, ma alla fine ce l’ho fatta. La mia stanza è piccolissima, ma il cesso tecnologico compensa le dimensioni lillipuziane del resto. Sono rimasto un’ora in camera, ho sistemato le mie cose e poi sono uscito. Le strisce pedonali di Tokyo sono enormi e le due schiere di pedoni che le attraversano mi sembrano sempre due squadre di football americano che si affrontano senza remore. Il primo pasto da gaijin è stato modesto ed è economico: un panino targato McDonald per 280 yen e delle bibite che ho acquistato in uno dei tanti distributori automatici che si trovano in ogni dove. Mi è piaciuto molto il Royal Milk Tea: costa appena 130 yen e si mantiene sempre caldo. Per le vie di Ueno ho visto vari negozi e piccole attività minori. Le vetrine sono colorate e simpatiche, alcuni commercianti si appostano all’entrata e illustrano le loro offerte leggendole al microfono. Tutto avviene in maniera educata, senza grida acute né isteria. Ho visto qualche esempio di povertà, ma per adesso nulla di sconvolgente. Mi sono addormentato verso le sette di sera e mi sono alzato alle tre di notte. Adesso sono le sei e cinque minuti del sei febbraio mentre in Italia sono ancora le dieci di sera del cinque febbraio. Mi sento nel futuro, in tutti i sensi. Vado a prepararmi per l’esplorazione della metropolitana di Tokyo.
In rotta verso il Giappone: 4 febbraio 2007
Pubblicato lunedì 5 Febbraio 2007 alle 22:02 da FrancescoA Roma
Sono le 9:06. Stamane mi sono fatto accompagnare a Fiumicino da mia madre che fino all’ultimo momento mi ha implorato di chiamarla una volta arrivato in Giappone: ovviamente le ho detto di no e l’ho lasciata in preda alla paura di perdere il suo unico figlio. Adesso mi trovo nella sala d’attesa al gate B1 dopo una lunga fila al check-in. Non ho avuto problemi e per orientarmi ho seguito il vasto e variegato gruppo di giapponesi con il quale condividerò il volo fino all’aeroporto di Narita. I controlli sono stati rallentati dai tacchi improponibili di alcune figlie del Sol Levante. Le donne nipponiche sono tanto minute quanto belle. Sembrano delle statuine di beltà e non mi riferisco solo alle ragazze. Mi diverto a guardare le livree degli aerei e osservo con malcelato entusiasmo i loro decolli. La sala d’attesa è colma di persone assonnate e il piacevole tepore invita ogni passeggero a riposare un po’. C’è qualcuno che si diletta con il PC portatile e chi sfoglia svogliatamente le pagine di un giornale. Alla mia destra si trova un anziano dormiente e alla mia sinistra un aereo della Wind Jet. Manca poco alla partenza per Amsterdam. Continuerò questi appunti di viaggio quando sarò atterrato nella capitale olandese.
Ad Amsterdam
Finalmente ho messo piede nella meta ambita dai tossici europei. Ho passato il volo vicino al finestrino, accanto a una coppia di giapponesi e all’ala sinistra del 737 della KLM. Mi è piaciuto volare di nuovo. Amo la fase di decollo, quando la spinta dei motori si fa sentire con tutta la sua virulenza e si impone prepotentemente sulla forza di gravità. A bordo ho consumato un pasto modesto e ho ammirato uno scenario che ho visto altre volte dall’alto: le Alpi. Durante la fase terminale del volo ho avvertito una fitta all’occhio sinistro, ma per fortuna se n’è andata com’è venuta. Sono un po’ stordito a causa delle poche ore di sonno, avverto i postumi di una probabile sinusite, ho gli occhi rossi, ma la cosa più importante è che non me ne frega un cazzo. Questo breve tappa, da Roma ad Amsterdam, mi ha riportato alla mente le sensazioni dei miei precedenti viaggi aerei. Sono le 13:21, l’imbarco è previsto per le 14:20 e la partenza per le 15:20. Dovrei atterrare all’aeroporto di Narita alle dieci di mattina, ora locale, l’una di notte in Italia. Non avrò problemi ad adattarmi al fuso orario grazie agli orari sballati a cui sono abituato in patria. L’aeroporto di Amsterdam, di cui ignoro il nome, sembra più un tranquillo caffè parigino che una struttura adibita allo smistamento di uomini e merci. L’atmosfera è piacevole. Dietro di me è seduto un uomo anziano che sta parlando con una donna, ma per farsi sentire è costretto ad appoggiare un apparecchio elettronico sulla gola. Ogni tanto volgo lo sguardo a sinistra e osservo il rullaggio degli aerei. Durante il volo verso Narita spero di riuscire a dormire un po’ per mettere piede nel Sol Levante con tutte le mie forze e iniziare a divorare il paesaggio urbano a pieno regime. Spengo il PC, accendo il lettore MP3 e vado alla toilette per pisciare.
Mancano nove ore alla mia partenza e mi auguro che passino velocemente. Voglio solo accomodarmi al mio posto e lasciare che l’aereo della KLM sorvoli prima i tulipani di Amsterdam e poi quella zona dell’arcipelago nipponico dove un tempo sorgeva Edo. Non ho nessuno da salutare e ne sono felice. Non mi piacciono le frasi fatte che accompagnano le partenze e penso che un semplice “ciao” sia più che sufficiente. Ho un bel mal di testa, avvenimento raro per me, e non escludo che possa diventare qualcosa di più fastidioso. Vorrei sapere dove si trova quella vecchia baldracca della fortuna adesso che ne abbisogno. Lascio l’Italia in lutto per la morte dell’ispettore Raciti e mi chiedo se saranno adottate veramente delle contromisure per moderare l’unico sport che questo stivale consumato dagli scandali riesce ad apprezzare. Mi esaltano le vicende di guerriglia urbana, per me sono una fusione confusionaria di fervori contrastanti che riescono ad appassionarmi e sarei un ipocrita se negassi il mio apprezzamento per le scene da Intifada che sono state riprese ieri sera a Catania, ma di fronte all’ennesimo morto non posso che storcere la bocca e riconoscere l’incoscienza sociale di chi ha oltrepassato ancora una volta quel confine di tolleranza lungo il quale la società italiana riesce ad accettare molte oscenità minori. Auguro alle mogli dei poliziotti che la politica, tra una strumentalizzazione velata e l’altra, riesca a trovare il tempo per andare oltre l’indignazione e le frasi di circostanza. La negligenza genera orfani e vedove.
Mancano poco più di ventiquattro ore alla mia partenza. Ho selezionato un po’ di musica e ho messo in valigia “Il Ricordo di Sé”, un libro di Robert Earl Burton sulla “Quarta Via” di Gurdjieff che non mi ispira molto, ma voglio provare a terminarlo. Nel mio lettore MP3 ho inserito molto jazz, molto hip hop, qualche album di musica etnica e persino un disco grindcore in onore della mia adolescenza. Quella che segue è la lista degli album che comporranno la colonna sonora della mia gita fuori porta.
Alessandro Benvenuti – Sonic Design
Allan Holdsworth – All Night Wrong
Brett Garsed – Big Sky
Buckethead – Population Override
Dargen – Musica Senza Musicisti
Franco Battiato – Last Summer Dance
Franco Battiato – Studio Collection
Frank Gambale – The Great Explorers
Keiko Matsui – Dream Walk
Kheops – Balkans
Killah Priest – Heavy Mental
Krishna Das – Pilgrim Heart
Medine – Jihad
Miles Davis – ‘Round About Midnight
Miles Davis – Kind of Blue
Mistic – Mistic
Napalm Death – Scum
Paura – Octoplus
Rhymefest – Blue Collar
Sean Price – Jesus Price Supastar
Sniper – Trait Pour Trait
The Twilight Singers – Powder Burns
Thin Lizzy – Black Rose
Ieri pomeriggio, dopo circa undici anni, sono andato dal barbiere. Finalmente posso sfoggiare un taglio di capelli anonimo che non richiama i controlli di polizia: un miracolo da dieci euro.
Stanotte ho registrato la seconda puntata del mio videoblog. Ho scambiato qualche parola con la mia MiniDV. Ho ricavato qualche effetto catartico dalla breve conversazione che ho intrattenuto con questa figlia minore della Canon. Mi piace rivedermi in video e mi domando se diventerò abbastanza vecchio per guardare con un po’ di nostalgia i miei monologhi multimediali. Cerco di non pensare molto al futuro per concentrarmi sulle meraviglie incandescenti del presente, ma alcune volte non posso fare a meno di fantasticare sul contenuto della sfera di cristallo. Vado a dormire e tra qualche ora armerò il mio Lettore MP3.
Non so quale sia il segreto della felicità e non spenderei nemmeno due euro e novantanove centesimi per acquistare in edicola la sua illustrazione cartonata. Mi piace l’armonia delle piccole cose e lo squilibrio maestoso di eventi apparentemente titanici. Forse la quiete interiore permette di apprezzare lo scenario che si staglia ogni volta che usciamo di casa: la solita disposizione dei palazzi, le stesse mode che si presentano terra terra con le calzature della gente, gli sguardi ripetitivi di persone con le quali non abbiamo mai parlato, ma di cui pensiamo di sapere ogni cosa. Suppongo che una visione della realtà scevra dai pregiudizi inveterati consenta all’occhio di rifrangere qualsiasi colore e ogni stato d’animo. Le mie impressioni fallaci mi distolgono dalla realtà e non mi basta rendermene conto. Non voglio vegetare nelle mie prese di posizione, ma non voglio nemmeno concedere troppi balli all’incoerenza. Non cerco l’equilibrio, ma solo un posto per osservare il presente senza veli e dal quale lanciare un intervento concreto verso il casus belli della mia serenità. Quante parole e quanti pensieri prolissi. Questa scrittura virtuale non è altro che un atto di masturbazione da parte della mia interiorità. La realtà è composta da azioni e reazioni che non vanno sempre d’accordo con il raziocino, ma le frasi che accompagnano gli eventi spesso suscitano più clamore degli eventi stessi. L’apparenza ingannevole delle parole nasconde e sostituisce le meraviglie e gli orrori della realtà. Tutto appare distorto, smussato, opaco e me ne rendo conto quando qualche colpo di fortuna mi spinge a guardarmi al di fuori di me stesso. Per oggi non intendo alimentare queste riflessioni relativamente vacue e me ne vado a fare in culo vicino ai miei bagagli.