Qualche notte fa ho visto “Tokyo Decadence”, un film del 1991 che narra le vicende di una prostituta di alto borgo. Questa pellicola, basata su un romanzo, non mi è piaciuta e mi ha annoiato per buona parte della sua durata. Trovo che il ritmo sia eccessivamente lento e credo che l’insistenza sulle scene di parafilia, che si susseguono una dopo l’altra, sortisca un effetto soporifero. Il simbolismo di questo film non mi ha entusiasmato e anche i passaggi più crudi non mi hanno colpito. Una delle poche note positive di questo “Tokyo Decadence” è la sega che sono miracolosamente riuscito a spararmi grazie al pathos erotico di una delle tante scene di sesso. Credo che l’interpretazione di Miho Nikaido, che veste i panni della protagonista, Ai, una ragazza fragile, sottomessa, timida, e ossessionata dalla perdita del suo amore, sia l’aspetto migliore di questa fatica di Ryu Murakami. Penso che alla base del mio giudizio negativo ci siano delle aspettative eccessive per questi novanta minuti che hanno l’ambizione di descrivere il degrado morale della capitale nipponica. Mi attendevo un forte impatto emotivo, simile a quello che ho ricevuto da “Tokyo Fist”, che ho già commentato superficialmente su queste pagine, e di “Bullet Ballet”, di cui invece non ho mai fatto cenno su questo spazio virtuale, ma alla fine della visione ho provato solo una fastidiosa sensazione di incompiutezza.
Penso che l’inganno, per sua stessa natura, non possa portare frammenti di felicità, ma solo attimi di appagamento intenso e deleterio. Penso che non sia possibile né auspicabile dire la verità in ogni occasione, ma credo che un comportamento tendenzialmente sincero paghi sempre, anche se in misura apparentemente minore, rispetto a un contegno fallace. Chi mente su se stesso offre alle persone una visione distorta della propria natura psicofisica e nell’istante in cui decide di iniziare il suo inganno non può aspettarsi di essere compreso né di essere apprezzato per le sue doti reali. Trovo che l’esaltazione di sé o un’eccessiva denigrazione della propria persona siano due atteggiamenti che si equivalgono sul piano della stupidità. Penso che occorra tendere alla verità sia nelle azioni positive che in quelle negative. Adulare senza espedienti e inveire in proporzione alla propria rabbia: niente di più, niente di meno. La verità verso la quale propendo si annida nei miei gesti quotidiani e non ha assolutamente un carattere cosmogonico. Nel contegno sincero verso me stesso e verso gli altri vedo l’anello di congiunzione tra la mia personalità e la realtà. Chi mente cronicamente dimora nelle galere delle sue paure e concede al malessere di calpestare il suolo della sua intimità. La simpatia per la verità dovrebbe avere un ruolo primario nell’egoismo di ogni persona assennata. Molte volte mi sono espresso a favore dell’autenticità delle azioni, a tratti quasi morbosamente, ma talvolta anch’io ho fallito nel tentativo di adempiere a questo mio principio. Le mie parole non hanno connotazioni dottrinali. Queste righe sono esteticamente banali, ma per me hanno un significato particolare.
Una giornata tenue incoraggia la pigrizia. I respiri regolari dei membri di una famiglia incensano il tepore casalingo e le scelte giornaliere di un uomo solo sfilano sopra una mensola e ammiccano per farsi eleggere. Una persona un po’ canuta siede sopra una poltrona con lo schienale alto e legge un libro nella piacevole consapevolezza della sua età. Donne giovani e anziane assecondano le proprie tradizioni senza subire il fascino moderno dell’emancipazione femminile. Qualche giovane rovescia le croci cristiane perché non riesce a rovesciare la clessidra che lo angoscia e appare ingenuamente blasfemo agli occhi di chi ha imparato ad applicare l’iconoclastia bizantina nella propria mente al fine di non intorpidirsi con l’industria clericale. In una stanza con le luci soffuse il piacere di vivere si unisce al piacere di stare in compagnia. Il traffico di preoccupazioni congestiona le vie sulle quali dovrebbero transitare brevi momenti di apprezzamento per le piccole cose. Facce ambigue e intenzioni ibride cadono nelle trappole dei fraintendimenti, mentre le porte di molti salotti vengono aperte con gentilezze e riverenza agli inganni di coloro che hanno la premura di confezionarli adeguatamente. Uno sguardo diafano fissa la luce del sole per contemplarne il valore aulico che molte società umane le hanno attribuito durante la costruzione delle proprie dottrine. Un contadino inurbato coltiva meticolosamente la sue ossessioni e ne divora i frutti velenosi con avidità. Il deserto avanza senza cammelli sopra le sue nuove dune e gli occhiali da sole sono sempre in voga.
Ieri ho accennato qualcosa riguardo alla possibilità che io resti vittima di un incidente aereo durante il mio volo verso il Giappone. Sono stato otto volte a bordo di un aereo e in quattro occasioni ho sorvolato l’Atlantico all’interno di un Boeing 747 dell’Air France. Il mio ultimo viaggio in aereo risale a circa dieci anni fa. Non vedo l’ora di trattenere il respiro durante la fase di decollo e di guardare attraverso il finestrino con timore, curiosità e stupore. Voglio donare a me stesso la paura di volare per provare sensazioni adrenergiche durante la fase di crociera e credo di essere sulla buona strada per riuscirci. Mi domando cosa si provi durante uno stallo o nel corso di un atterraggio di emergenza. Chissà come risplendono negli occhi di un pilota le fiamme che improvvisamente divampano sulle ali. Vorrei sopravvivere a un incidente aereo per descrivere il terrore che si prova ad alta quota, ma forse le parole, come spesso accade, non riuscirebbero a riprodurre fedelmente gli istanti di panico e l’apparente contatto con la fine della vita. Quali espressioni si impossessano dei muscoli facciali di quei passeggeri a cui il caso converte insindacabilmente il viaggio in un biglietto di sola andata per la morte? Cosa rimane dopo lo schianto di un aereo? Una fusoliera, lacrime cristallizzate, un’inchiesta costosa, valigie ed effetti personali sparsi un po’ ovunque.
Mi sono svegliato alla diciassette, ma sono riuscito ugualmente ad affacciarmi alla finestra per scorgere l’ultimo chiarore del giorno. Mi sento pervaso da un lieve stato di benessere che enfatizza positivamente il mio vuoto affettivo. Avverto un lieve dolore alla coscia destra e credo che dipenda dallo strappo che mi sono procurato ieri sera dopo circa due ore di movimento. Oggi non noto pensieri discordanti nei meandri della mia interiorità e mi chiedo se la loro assenza dipenda da una vertenza sindacale o dagli effetti rigeneranti delle cure del tempo. Sono a disposizione delle necessità più sottili che mi istigano a vivere e continuo a impedire che qualcosa le comprometta nocivamente. È normale che le proprie esigenze cambino con il tempo, ma credo che occorra costanza e imprudenza per evitare che le esperienze negative ne modifichino la forma e il contenuto con lo scopo di chetare le angosce esistenziali. Non sono formato solo da ossa e bisogni, ma anche da momenti di ozio, da fatiche volontarie e da gioie insensate e silenziose che entrano ed escono a loro piacimento dai miei pori. La mia partenza per il Giappone si avvicina giorno dopo giorno e forse anche questa piacevole attesa contribuisce al mio attuale stato di grazia. Mi vedo già a bordo di un aereo sulla rotta per Tokyo, ma non escludo che invece di giungere a destinazione il mio volo possa optare per una rotta di collisione su invito del caso. Sono pronto all’evenienza di un disastro aereo, ma illustrerò domani o nei prossimi giorni i miei pensieri a questo riguardo.
Direttamente da “Bist Du Bei Mir”: “Bisognerebbe scacciare le avversità come si fa con le mosche, per chi rimane incosciente le colline sono ancora in fiore”. Mi rivedo nelle parole che ho appena citato e credo che contengano una verità potente e concreta. Il mio nuovo anno è incominciato in sordina, ma questo inizio silenzioso non mi ha rattristato più di tanto. Mi sento attraversato dal vigore e dalla volontà di accedere ai piani alti della realtà. Ho l’impressione che una spensieratezza bambinesca stia dando i primi calci alle mie membra. Porto in grembo sensazioni nuove e piacevoli, ma è bene che io ricordi che i parti della mia interiorità sono sempre gemellari ed è anche opportuno che io non dimentichi la dualità ineluttabile che si trova nel seme che sovente feconda la mia psiche. In passato ho tentato di estorcere determinate parole a delle anime mute e, ovviamente, non sono riuscito a ottenere nemmeno una sillaba. Quando qualcuno tace a lungo mi chiedo se il suo silenzio provenga da una scelta comportamentale ponderata o dall’incapacità di dire qualcosa e penso che spesso la risposta a questo quesito alberghi nel risultato prodotto dall’atteggiamento di cui sopra. Per me è già mattina, nonostante il colore indaco del cielo cerchi di farmi credere il contrario. Sono stanco, ma per fortuna non sono afflitto da nessun patema. Ringrazio me stesso e l’imparzialità del caso per avermi impedito di partecipare come comparsa a una delle tante pantomime che intrattengono le vite e ne addobbano i corollari. Non ho molto sonno, ma spero di addormentarmi presto per accompagnarmi un po’ alla fugace luce della stagione invernale.
Ho riletto alcuni scritti dello scorso gennaio e ho riso un po’ a causa della loro forma e del loro contenuto. Le parole più remote che si trovano su queste pagine rappresentano la prova della mia costante evoluzione. Sono passato attraverso vari stadi emotivi che in alcune occasioni hanno rischiato di trasformarsi in situazioni patologiche. Negli ultimi dodici mesi mi sono rinnovato più volte e sono tuttora in preda a mutamenti incessanti e imprevedibili. Levigo la mia personalità con parole, pensieri e azioni. Credo che io debba disseminare ancora molte amenità su queste righe virtuali prima di immettere la mia scrittura su un binario stabile. Voglio che i miei errori, le mie cadute, i miei pregiudizi, le mie considerazioni stupide e inutili mettano in evidenza gli sprazzi della mia ragione. A volte penso erroneamente che la mia personalità abbia raggiunto un livello soddisfacente, ma fortunatamente non basta questa mia valutazione saltuaria per arrestare l’evoluzione immanente che si trova al mio interno e che si manifesta sotto vari aspetti al di fuori del mio corpo. Sono ancora troppo giovane e inesperto per maturare idee a lungo termine, ma la mia concezione dei sentimenti è ancora la stessa e presumo che nulla possa ledere la sua longevità. Le mie attuali velleità di descrivere la mia interiorità sono locuzioni risibili e difettose che faranno sbocciare qualche secondo di ilarità nella mia bocca durante un momento caduco del mio futuro.
Ho già elogiato Medine in occasione del video di 11 Septembre. Ora più che mai ho bisogno di queste sonorità per affrontare le nubi che offuscano i miei giorni. Il flow aggressivo di Medine ha un effetto vigoroso su di me e penso che in questo pezzo dia il miglio di sé.
Mi scuso anticipatamente con me stesso per le sfumature banali che sto per imprimere alle mie parole e dalle quali, tuttavia, non posso prescindere. La scorsa notte uno stimolo esterno mi ha suggerito di riflettere su quanto io abbia dato e ricevuto. In alcuni momenti della mia vita ho vissuto come un anacoreta e non ho dato nulla. Ho ricevuto l’attenzione di mia madre, ma l’ho data sempre per scontata, non le ho mai conferito una grande importanza e ancor oggi non riesco a dare un valore significativo alle premure materne. Ho dato astio, irruenza e sfiducia, e per tutta risposta ho ricevuto in egual misura le sensazioni negative che ho elargito. Ho preteso molto e ho dato poco, quindi non mi sorprendo che una determinata zona delle mie emozioni sia sottosviluppata. Talvolta mi sono privato della ragione per sfogare in modo distruttivo le mie frustrazioni. Cerco spesso di sublimare per evitare che un atteggiamento eccessivamente nichilista mi intrappoli nella sterilità delle mie interiorizzazioni fallaci, ma a volte riesco solo a ostentare silenzio di fronte alla recrudescenza dei miei fallimenti passati. Uno spunto per questa breve riflessione mi è giunto dalla pratica del naikan, una tecnica psicoterapeutica che si basa sulla meditazione e che viene imposta ai detenuti giapponesi al fine di riabilitarli.
Voglio compiere gesti lenti ed evolvere i miei gusti. Cerco di poggiare il capo sul seno della conoscenza per sostenere la mia incompletezza. Ho deriso la ricerca di me stesso per molto tempo e mi sono aggrappato strenuamente alla vacuità della mia esistenza per rimandare il mio viaggio in luoghi fisici e morali che non ho mai visitato. Devo liberarmi degli aspetti distruttivi che ho ereditato dalla mia società per evitare che le mie radici culturali diventino rovi impedienti. Non c’è un culto idolatrico né una filosofia che possa esimermi dall’onere di creare il vademecum della mia vita. Il pericolo di una nuova fatica di Sisifo non mi scoraggia e, come ho già scritto altre volte, l’incertezza dell’avvenire esalta la parte fanciullesca della mia interiorità. Coltivo una rettitudine che è fine a se stessa e che non ha legami con nessuna confessione religiosa. Ci sono voci e idee malsane che tentanto di distrarmi, ma davanti alle loro insidie mi faccio scudo con il silenzio e con la pazienza. Devo proteggere il mio tempo dagli errori dei miei esperimenti esistenziali. Credo che il mio vuoto sentimentale sia una prova casuale e non penso che il suo superamento comporti conseguenzialmente una ricompensa. Prossimamente camminerò laicamente in mezzo alla sacralità di luoghi ameni e tenterò di indossarne l’armonia senza cedere alla tentazione di impregnarmi con una vocazione sincretica. La mia visione della realtà è meno profonda di quanto non sembri e penso che la tangibilità dell’esistenza comporti inevitabilmente una diminuzione di alcuni aspetti del presente.