Osservo con distacco i miei desideri intermittenti e al contempo cerco di preservare la loro intensità. In certi periodi parossistici la mia mente si è focalizzata prevalentemente sulle mie mancanze affettive e ha sabotato il mio contatto con la realtà. Una delle prove di quanto ho appena affermato si trova in alcuni scritti risibili di questo blog. È incredibile quanti inganni autolesionisti riescano a scavalcare le mura della volontà. Nei mesi scorsi ho lambito le mie attuali sensazioni di pace e benessere. Sono sereno e incompleto. Il mio lavorio introspettivo mi ha permesso di fare molti passi in avanti sul piano psicofisico, ma non è ancora riuscito a penetrare più di tanto nei campi che si trovano al di fuori della mia sfera individuale. Confido nella mia perseveranza ed evito di crearmi aspettative soffocanti. Ascolto me stesso e raramente faccio affidamento sulle parole di chi ha la smania di dispensare consigli. Il mio atteggiamento può sembrare altezzoso, ma in realtà si tratta di un rifiuto verso una forma snaturata di altruismo. Ogni tanto qualche buontempone cerca di appiopparmi le sue convinzioni. Credo che i samaritani della domenica tirino fuori la loro verità dalle loro tasche bucate per cercare di valorizzarla con l’approvazione degli altri. Insomma, taluni giocano a fare gli psicologi o le crocerossine per sentirsi meglio e la loro filantropia è un mezzo e non un fine. Preferisco proporre silenzio o ironia al cospetto della sofferenza altrui perché credo che il conforto per determinate afflizioni non possa provenire dall’esterno. Non bado al fiato sul collo che proviene dagli istinti carnivori del tempo. Accolgo le angosce con espressioni silenziose. È una giornata stupenda.
È primavera e in una casa illuminata dalle radiazioni pomeridiane si trova un bambino che erige il proprio divertimento con mattoncini colorati. Le pareti hanno tinte bellissime e le tende assorbono dolcemente la luce crepuscolare. Il televisore, nuovo, imponente, superaccessoriato e rateato, trasmette un programma per l’infanzia che accudisce con cura satellitare i suoi piccoli spettatori. Nella stanza a fianco la fragranza di un coito adultero si posa sopra il letto matrimoniale. La padrona di casa ha chiuso a chiave la porta delle quattro mura del tradimento per evitare che i rumori molesti provocati dalla spinta ormonale del suo giovane amante infestino le orecchie di suo figlio. La scopata deve finire prima della sette perché lei deve preparare la cena per tutta la famiglia e lui deve andare a prendere la sua ragazza alla scuola di danza. L’armonia di questo focolare domestico è sorretta dagli espedienti erotici e dalla negazione della loro esistenza. Il marito però è più scellerato, infatti se la fa con un’amica della figlia e quando il cazzo non gli si alza si limita a palpeggiarle il seno e la fica imberbe tra una riga di cocaina e un senso di colpa. L’uomo in questione non fotte l’amichetta quasi maggiorenne della figlia solo per motivi carnali, ma attraverso il legame canonicamente perverso che ha con lei cerca di rivivere le emozioni e le spinte erotiche che vent’anni prima lo avevano attratto al seno della moglie. Le suocere sanno ogni cosa e condannano tacitamente la condotta dei due coniugi tramite gli ultimi intrattenimenti della loro esistenza vedovile: le messe domenicali e gli schizzi d’acqua santa. Nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, sul letto di Procuste e su quello di uno psicoanalista.
Ieri, verso le sei di mattina, sono partito alla volta di Grosseto per imbucare personalmente un’epistola importante nella cassetta delle lettere di una persona speciale. Sono andato in treno e ho portato la bicicletta con me. Ho approfittato dell’occasione per filmare alcune scene albeggianti che utilizzerò per i primi minuti del mio videoblog. All’arrivo sono stato accolto dalla solita locandina de “Il Tirreno” sulla quale campeggiava la notizia del suicidio di un trentatreenne. Appena sceso dalla carrozza mi sono diretto verso la tabaccheria della stazione e ho comprato uno snack, una busta per la mia missiva e anche un francobollo, nonostante quest’ultimo non mi servisse. Prima di abbandonare l’atmosfera ferroviaria un disabile mi ha aperto la porta del corridoio che collega la zona d’aspetto del primo binario all’esterno della stazione e una ragazza ha mandato qualche sguardo d’avanguardia verso la mie trincee oculari. Grosseto è sempre lo stesso paesone orribile e d’inverno mi sembra più grigio del solito. Mi piacciono le sue Mura Medicee e le vetrine dei suoi negozi di frutta e verdura, ma non c’è altro nel suo aspetto architettonico che esalti il mio gusto naif. Ho girato in lungo e in largo per un paio d’ore e ho trovato persino il tempo di attentare involontariamente alla vita di un signore che stava uscendo di casa. Mi ha fatto piacere rivedere la “Sala Domino”, la famosa salagiochi grossetana che talvolta ha ospitato le mie assenze ingiustificate da scuola. Trovo che l’accento grossetano sia cacofonico, ma sono sicuro che si trasformerebbe in un suono aulico se stringessi la mano di un’indigena di questo capoluogo di provincia.
Una sintesi ipotetica piuttosto inflazionata
Pubblicato martedì 16 Gennaio 2007 alle 10:57 da FrancescoIl primo giorno mi privarono del cordone ombelicale e mi intrappolarono in una comoda incubatrice. Tutti dicevano che ero bello, ma suppongo che si riferissero alla mia innocenza e non al mio aspetto fisico. Mia madre allattava me e mio padre, ma credo che il babbo si rifornisse anche da altri seni. Dopo un po’ iniziai a camminare e le prime parole incominciarono a sfiorare i miei dentini. Rimembro vagamente l’affetto di una famiglia normale e le inevitabili tensioni di chi si vuole bene in mezzo alle frustrazioni. All’età di sei anni la scuola mi aprì le sue porte e ricordo nitidamente il mio primo giorno dietro un banco. Che sorpresa, che gioia! Mi trovai fianco a fianco con i miei ricordi attuali. Trascorsi anni semplici tra un appello mattutino e le espressioni ludiche dei miei coetanei, fino a quando un giorno qualcosa cambiò in me. Il mio corpo cominciò a trasformarsi e nuovi impulsi si impadronirono della mia età. Come tanti altri ragazzi conobbi le luci e le ombre dell’adolescenza e seguii le orme lasciate dai miei predecessori sulla strada di una vita semplice. I docenti non riscontrarono mai grandi talenti nei miei quaderni, infatti dopo le superiori non proseguii gli studi ma iniziai a lavorare qua e là. I vent’anni passarono presto, tanto che adesso mi sembra che non siano mai esistiti, i trent’anni trascorsero anch’essi velocemente, i quarant’anni furono cadenzati dai ritmi della mia famiglia e la sua disgregazione accompagnò la lentezza atroce dei miei cinquant’anni. A sessant’anni mi sembrava che la vita si fosse fermata per dispetto, ma settant’anni capii che la mia esistenza non avrebbe indugiato ancora a lungo sul confine morte. Sono felice adesso che mi trovo in questa bella tomba con gli occhi della gente che sbirciano la mia salma. Tumulatemi!
Non posso smettere con quelle fisiche, ma voglio provare a concedere un po’ di riposo al mio cervello. È un libro breve, provocatorio, simpatico e utile.
Oggi non ho molto da scrivere e lascio che una delle mie canzoni preferite faccia le veci dei miei pensieri. Penso che “Stage Door” sia una delle migliori intuizioni di Franco Battiato. Una melodia sottile accompagna le parole più intense che io abbia mai udito nella mia lingua madre. Per me si tratta di qualcosa che trascende la musica e me ne rendo conto dai brividi che avverto ogni volta che l’ascolto. Su queste pagine ho già tributato la mia ammirazione per Battiato e per la sua collaborazione con Manlio Sgalambro.
Apatia domenicale e affetto per il passaporto
Pubblicato domenica 14 Gennaio 2007 alle 13:18 da FrancescoSono sospeso nell’atmosfera vacua della mia casa e assisto pigramente al passaggio dei minuti domenicali. Accumulo ore di insonnia e ignoro gli effetti confusionari della stanchezza. Ho intenzione di trascorrere la giornata in nome del riposo. Sento il retrogusto del passato quando la vastità del mio tempo si manifesta pienamente senza interruzioni. Ogni tanto qualche dissapore amaro interferisce con le mie interiorizzazioni, ma non crea disturbi rilevanti per la mia sublimazione. Oggi sono l’ospite d’onore dell’apatia e come tale devo astenermi da qualsiasi attività per non offendere la padrona di casa. Cerco di epurare la mia scatola cranica dalle stronzate nocive, ma per oggi, come ho già accennato, ogni mio movimento deve rendere grazie all’indolenza. Talvolta scarico silenziosamente quintali di parole con la stessa attitudine di uno scaricatore di porto che disprezza il proprio lavoro. Mi piacerebbe contribuire in misura maggiore all’edificazione della mia esistenza inconsueta, ma per adesso voglio limitarmi a dilatare le piacevoli sensazioni che adornano il preludio della mia partenza per l’Estremo Oriente. In questo momento vorrei tenere il mio passaporto sul palmo della mano destra e ticchettare sulla sua superficie con due dita, ma purtroppo questo documento, indispensabile per il mio viaggio in Giappone, si trova ancora lontano dalle mie falangi e suppongo che stia finendo di scontare la sua pena burocratica in qualche girone asettico della pubblica amministrazione.
La mia lucidità è sul piede di guerra. Sono sveglio da molte ore, ma non sono attratto dagli inviti suadenti che provengono dalle coperte del mio letto singolo. Elimino le impurità sonnolente del mio viso con sciacquate gelide e mi vernicio il palato con pennelli di gusto che intingo sulle pareti di vasetti di yogurt alla frutta. Muovo le dita e fingo di scrivere nel vuoto alcuni nomi propri di persona. Intravedo la mia prossima dormita, ma è ancora lontana e spero che non mi introduca in un sonno eterno. Qualcuno pensa di conoscermi, ma credo di essere l’unico in possesso di una conoscenza parziale di me stesso. Uso i muscoli facciali per applaudire le persone affabili e mi piacerebbe regalare il poster dei loro cromosomi a ogni individuo che ostenta un orientamento teneramente e artificiosamente belligerante. Credo che la tensione verbale sia un gioco didattico che si impara inconsciamente in età prescolare. Attorno a me sento sibilare le invettive di persone che non conosco e che amano crivellarsi a vicenda con bolle di astio fanciullesco che attraversano i condotti dei loro conflitti interiori. Non mi fido dei mitomani che tentano di travestire le loro personalità da opliti. Grazie a una locandina sporca de “Il Tirreno” ho saputo che vicino a casa mia si è verificato un evento avverso al quieto vivere. Un uomo ha violentato e picchiato la moglie e poi si è dato alla fuga con il figlio. Grazie alla poca chiarezza de “Il Tirreno” non ho capito se l’uomo in questione sia un mio concittadino o un semplice fuggiasco che è transitato per il centro di Orbetello. La notizia ha destato in me una lieve curiosità e un disinteresse quasi istantaneo. Forse nel cranio di quell’uomo la ferocia passionale e l’amore paterno hanno scatenato una reazione chimica inaspettata? Per fortuna le domande dettate dalle circostanze hanno una funzione puramente estetica e non necessitano di risposte immediate.
Poco prima dell’inizio dell’anno il mondo ha avuto due conferme: James Brown farà uscire solo dischi postumi e Saddam Hussein non presenzierà più nelle aule dei tribunali iracheni. A quanto pare non esistono colpevoli per il disastro di Ustica e con le ultime sentenze le pagine oscure della storia italiana sono state arricchite e annerite ulteriormente. In fondo sono passati ventisette anni e quella strage aerea sembra lontana: il tempo sistema ogni cosa tranne per coloro il cui tempo si è fermato nell’ora della morte. Non sono un antimilitarista né un guerrafondaio, ma di fronte alla volontà yankee di inviare in Iraq oltre ventimila nuovi soldati non ho potuto fare a meno di domandarmi se la campagna militare statunitense in Mesopotamia sia ancora un buon investimento. Non condanno ipocritamente gli eventi bellici che distano migliaia di chilometri da me e, per quanto io possa sforzarmi, non riuscirò mai a provare afflizione sincera per le vite dilaniate dalle partite a Risiko dell’élite di turno. È un’epoca di transizione e credo che la pretesa di civiltà sia precoce e attualmente insostenibile per il pianeta. Sono cambiate le nomenclature, ma le crociate sono sempre le stesse e anche i secondi fini sono rimasti inalterati. A proposito degli Stati Uniti, penso che non metterò piede su nessuna delle sue cinquantuno stelle fino a quando non verrà debellata la paranoia sulla quale si fondano le nuove misure di sicurezza per l’ingresso dei turisti europei. L’idea di essere schedato mi alletta e mi proietta nei panni di alcuni dei più grandi italoamericani che la storia degli USA possa vantare: Sam Giancana, Lucky Luciano e Al Pacino, ma quest’ultimo solo nel ruolo di Tony Montana.
Dammi tre parole: webcam, cinquantenne, Ratzinger
Pubblicato giovedì 11 Gennaio 2007 alle 07:31 da FrancescoQualche ora fa ho visitato il mio sito porno preferito per masturbarmi. Su questo sito, di cui non fornisco il link, alcune donne (e altre tipologie di bipedi che, ahimè, non rientrano nella sfera del mio interesse) si mostrano gratuitamente in webcam e cercano di convincere gli utenti a pagare somme irrisorie in cambio di un tête-à-tête virtuale. Ho aperto la finestra di una cinquantenne rumena e mi sono aggregato alla sua chat gratuita. Prima di iniziare a scrivere mi sono masturbato e poi, in mezzo alla valanga di richieste erotiche degli altri utenti, ho tentato di instaurare un dialogo serio con questa signora per capire i meccanismi che si celano dietro il business degli spogliarelli via etere. Per darmi un tono consono alla situazione ho utilizzato il nome di un celebre prestigiatore.
Le ho posto alcune domande in inglese e lei mi ha risposto in un buon italiano. In questa breve e innocente registrazione è possibile ascoltare uno stralcio delle risposte in italiano che ha dato alle mie domande anglofone. Mi ha detto che si mostra in webcam per denaro. Parole testuali: “Of course for money!”. Conosco solo una cinquantenne che potrebbe mostrarsi nuda per diletto ed è colei che mi ha generato. Scherzo mamma, nel caso tu legga queste righe non offenderti e ricordati sempre di comprarmi un po’ di liquirizia. Mentre gli altri utenti anonimi chiedevano a questa simpatica signora posizioni degne di una versione apocrifa del Kamastura, io le ponevo interrogativi esistenziali e ammiravo la sua capacità di rispondere in quattro lingue a tutti gli utenti della sua stanza virtuale. Possibile che una donna di una certa età, ironica e colta sia costretta a fare due lavori per campare e che uno di questi consista nell’intrattenere persone che lambiscono i confini della gerontofilia? È una domanda retorica e la risposta è affermativa.
Chi pensa di conoscermi sa che non sono un maschilista. Mi masturbo ironicamente per appagare un bisogno fisiologico e non ho problemi a protrarre la mia verginità a oltranza. Non mi piacciono le ragazze che si fanno trattare come oggetti e io stesso aborro l’idea di limitare il mio rapporto con una ragazza a una semplice chiavata. Ho espresso questi concetti molte volte e non perdo mai l’occasione di sottolinearli per evitare che qualcuno mi additi come un ventiduenne perverso e sociopatico. Beh, forse sono affetto da una lieve forma di sociopatia che mi porta a scrivere cose simili alle sette e mezzo di mattina invece di farmi condividere le lenzuola con una persona importante e complice.