Il primo giorno mi privarono del cordone ombelicale e mi intrappolarono in una comoda incubatrice. Tutti dicevano che ero bello, ma suppongo che si riferissero alla mia innocenza e non al mio aspetto fisico. Mia madre allattava me e mio padre, ma credo che il babbo si rifornisse anche da altri seni. Dopo un po’ iniziai a camminare e le prime parole incominciarono a sfiorare i miei dentini. Rimembro vagamente l’affetto di una famiglia normale e le inevitabili tensioni di chi si vuole bene in mezzo alle frustrazioni. All’età di sei anni la scuola mi aprì le sue porte e ricordo nitidamente il mio primo giorno dietro un banco. Che sorpresa, che gioia! Mi trovai fianco a fianco con i miei ricordi attuali. Trascorsi anni semplici tra un appello mattutino e le espressioni ludiche dei miei coetanei, fino a quando un giorno qualcosa cambiò in me. Il mio corpo cominciò a trasformarsi e nuovi impulsi si impadronirono della mia età. Come tanti altri ragazzi conobbi le luci e le ombre dell’adolescenza e seguii le orme lasciate dai miei predecessori sulla strada di una vita semplice. I docenti non riscontrarono mai grandi talenti nei miei quaderni, infatti dopo le superiori non proseguii gli studi ma iniziai a lavorare qua e là. I vent’anni passarono presto, tanto che adesso mi sembra che non siano mai esistiti, i trent’anni trascorsero anch’essi velocemente, i quarant’anni furono cadenzati dai ritmi della mia famiglia e la sua disgregazione accompagnò la lentezza atroce dei miei cinquant’anni. A sessant’anni mi sembrava che la vita si fosse fermata per dispetto, ma settant’anni capii che la mia esistenza non avrebbe indugiato ancora a lungo sul confine morte. Sono felice adesso che mi trovo in questa bella tomba con gli occhi della gente che sbirciano la mia salma. Tumulatemi!
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