Mi scuso anticipatamente con me stesso per le sfumature banali che sto per imprimere alle mie parole e dalle quali, tuttavia, non posso prescindere. La scorsa notte uno stimolo esterno mi ha suggerito di riflettere su quanto io abbia dato e ricevuto. In alcuni momenti della mia vita ho vissuto come un anacoreta e non ho dato nulla. Ho ricevuto l’attenzione di mia madre, ma l’ho data sempre per scontata, non le ho mai conferito una grande importanza e ancor oggi non riesco a dare un valore significativo alle premure materne. Ho dato astio, irruenza e sfiducia, e per tutta risposta ho ricevuto in egual misura le sensazioni negative che ho elargito. Ho preteso molto e ho dato poco, quindi non mi sorprendo che una determinata zona delle mie emozioni sia sottosviluppata. Talvolta mi sono privato della ragione per sfogare in modo distruttivo le mie frustrazioni. Cerco spesso di sublimare per evitare che un atteggiamento eccessivamente nichilista mi intrappoli nella sterilità delle mie interiorizzazioni fallaci, ma a volte riesco solo a ostentare silenzio di fronte alla recrudescenza dei miei fallimenti passati. Uno spunto per questa breve riflessione mi è giunto dalla pratica del naikan, una tecnica psicoterapeutica che si basa sulla meditazione e che viene imposta ai detenuti giapponesi al fine di riabilitarli.
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