In questo ventitreesimo giorno di dicembre scorgo il profilo di una nuova fase della mia esistenza. Penso continuamente al mio viaggio in Giappone e non vedo l’ora che il mio passaporto elettronico sia pronto. Il periodo natalizio incrementa la quantità di ozio presente nelle vene delle mie ventiquattrore quotidiane, ma la sua azione soporifera non riesce ad assopire i miei desideri latenti. Seppellisco lentamente i rottami del passato nella periferia della mia mente e tra un colpo di vanga e l’altro osservo le meravigliose incognite del futuro. Per me è importante vivere da solo i momenti funesti che ogni tanto fanno capolino dal crinale del presente. Vivo il dolore in una dimensione individuale e lo affronto pericolosamente in luoghi isolati. Sono vivo e sono in salute, sono giovane e sono deciso a versare serenità e consapevolezza sul seno della mia vita. Non mi aspetto che tutto vada bene e sono pronto a fronteggiare nuove avversità. La mia soglia di sopportazione del dolore è aumentata molto in questi anni e adesso non temo più di mettere piede in alcune zone d’oscurità. Continuo a forgiare il mio carattere a colpi di interiorizzazioni ponderate e non smetto mai di battere il martello sulla mia coscienza. Sono esaltato dallo scontro con l’infelicità e spero di avere la meglio. Non ho nulla da perdere e non ho intenzione di permettere che qualche ferita morale mi uccida. Sono stato sconfitto molte volte e probabilmente subirò altre disfatte, ma continuerò a oltranza la mia disputa per la pace dei sensi.
Credo che io abbia conferito un valore eccessivo alle persone che hanno lambito i confini dei miei sentimenti più profondi. L’urgenza di manifestare e ricevere amore mi ha indotto a incredibili errori di valutazione in ognuna delle tre esperienze che ho avuto con il gentil sesso. Quando una ragazza esercita una forte attrazione fisica e morale su di me un meccanismo nocivo si impadronisce del mio metro di giudizio; inizio ad attribuire doti straordinarie alla persona che mi attira e inconsapevolmente creo aspettative esasperanti. I tre rapporti platonici che ho avuto finora, e che rappresentano la totalità del mio bagaglio affettivo, sono accomunati dallo stesso iter: all’inizio una ragazza si sente attratta dall’apparente indifferenza che emanano le mie parole, dalla mia autoironia e dalla atipicità della mia vita, poi mi lascia credere che io sia il suo principe azzurro con un pene modesto e infine fugge dalle mie dichiarazioni melense per andare incontro a un’altra persona. Al termine di ogni rapporto platonico ho sempre ricevuto l’invito della coprotagonista di turno a mantenere un profondo rapporto di amicizia, ma non l’ho mai accettato. Se penso alle mie sofferenze sentimentali, compresa l’ultima, non posso fare a meno di ridere, ma fortunatamente queste esperienze risibili hanno contribuito ad accelerare la maturazione della mia volontà di amare. Lungi da me qualsiasi tentativo di ridimensionare le tre ragazze che hanno lambito la verginità del mio cuore e del mio cazzo. Vivo senza fossilizzarmi sui ricordi e al contempo evito che la mia mente dimentichi le mie esperienze. Sono giovane e ho ancora tutto il tempo per fallire. Tutto sommato è proprio una bella giornata di dicembre.
Prima di partire per il Sol Levante
Pubblicato giovedì 21 Dicembre 2006 alle 12:29 da FrancescoA gennaio partirò per il Giappone. Lascerò la mia patria natia a seimila miglia di distanza e calcherò le strade nipponiche da solo. Trascorrerò almeno dieci giorni a Tokyo. Covo da tempo il desiderio di recarmi in Estremo Oriente e credo che per me sia giunto il momento di mettere piede nel Sol Levante. Durante la fase di decollo mi sentirò tutt’uno con l’aereo perché in quel momento anch’io inizierò staccarmi da terra, ma a differenza del Boeing continuerò a volare anche dopo l’atterraggio a Narita. Voglio vedere le esasperazioni tecnologiche di Tokyo e gli aspetti rurali delle zone limitrofe, e spero che sulla mia strada si stagli un bellissimo torii da contemplare in silenzio. Questo viaggio rappresenta il primo battito d’ali della mia migrazione verso nuovi punti di vista. Non vado dall’altra parte del mondo per cercare risposte a quesiti che non riesco neanche a pormi correttamente né per dimenticare qualcosa o qualcuno. Non mi interessa la ricerca del senso della vita e non sono attratto dai presunti insegnamenti di uomini saggi. Voglio che la casualità plasmi estemporaneamente gli eventi della mia vita. Non ho un approccio fatalistico verso l’avvenire e parimenti rifiuto aprioristicamente qualsiasi interpretazione dell’esistenza. Comprerò il biglietto di andata e ritorno per Tokyo a nome della mia spensieratezza. È passato quasi un anno da quando ho iniziato a scrivere quotidianamente su queste pagine virtuali; sono successe molte cose e molte cose succederanno ancora.
Quanta melodrammaticità artificiale
Pubblicato mercoledì 20 Dicembre 2006 alle 07:17 da FrancescoHo accentuato involontariamente la descrizione degli effetti della mia ultima separazione platonica. Mi sento molto sollevato grazie alle riflessioni alle quali mi sono lasciato andare negli ultimi due giorni. Con queste parole non cerco di trasformare gli eventi recenti in inezie, ma provo a dare una giusta dimensione a ciò che mi è accaduto. Ogni tanto lascio che le mie dita ricoprano la mia scrittura con effetti pirotecnici. Sono abbastanza giovane per morire felice, ma sono troppo felice per morire giovane. Secondo le statistiche mi trovo all’inizio di un lungo corridoio piastrellato dalle evoluzioni spontanee e imperiose del tempo. Non aspetto un domani lontano, intriso di saggezza canuta e avvizzita, ma già oggi sorrido di fronte alle parole tanto melense quanto vere, tanto recenti quanto distanti, con le quali ho descritto le parti più basse del mio indecifrabile grafico esistenziale. La mia tristezza è tanto reale quanto la maternità di una bambina che accudisce una Barbie. Non ho ancora l’età anagrafica né esperienze realmente negative per divertirmi a contemplare l’infelicità. Vivo nella parte opulenta del pianeta dove le vittime del benessere materiale tentano di colmare i loro vuoti con la creazione di malinconie artificiali che spesso hanno poca attinenza con la realtà. L’infelicità offre le comodità di una sedia elettrica camuffata da trono e credo che lasciare volontariamente la propria interiorità nelle sue mani sia un atto sciagurato. Non ho ancora iniziato a vivere e tutte le manifestazioni di gioia e di disperazione che finora hanno varcato la soglia della mia coscienza sono state solamente le prove di un incipit esistenziale. Chiudo con una citazione in una lingua a me avversa: “Homo faber ipsius fortunae”.
Non amo molto le citazioni, ma inizio a sentire il bisogno di appuntarne qualcuna su queste pagine virtuali. Quella che segue è una poesia barocca che Christian Hofmann von Hofmannswaldau compose per ricordare ironicamente la brevità della bellezza a una donna che lo respingeva. Questi versi possono sembrare tristi, ma in realtà sono burleschi. “La pallida morte sfiorerà al fine i tuoi seni con gelida mano, impallidirà lo squisito corallo delle labbra, il caldo manto di neve delle spalle diverrà fredda sabbia, il dolce lampo degli occhi, il vigore della mano svaniranno al giungere del suo tocco, i capelli che ora competono con lo splendore dell’oro, giorno e notte ridurranno al fine a volgare fascio. L’elegante piede, l’aggraziato gestire, parte polvere parte nulla e vanità, nessuno sacrificherà più alla dea del tuo splendore. Questo e più che questo dovranno infine svanire, solo il tuo cuore sopravviverà al tempo perché la natura l’ha voluto diamante”.
La fine di una storia mai iniziata
Pubblicato domenica 17 Dicembre 2006 alle 07:13 da FrancescoAttorno alle quattro di stanotte J. ha posto l’ultimo sigillo sulla conclusione del nostro rapporto platonico e lo ha fatto tramite un SMS: “Fra’ penso che sia giusto che tu sappia che ho conosciuto un’altra persona. Spero che tu capisca. Questo non vuol dire sparisci!”. Probabilmente voleva dirmi questa cosa da un po’ di tempo, ma credo che sia riuscita a trovare il coraggio solo qualche ora fa. Per la terza volta nella mia vita qualcun altro è stato preferito a me: tre su tre è un’ottima media. Sono abbattuto, i miei occhi a causa delle lacrime sommesse sembrano degli oblò sfiorati dalle acque oceaniche e non mi vergogno a scriverlo. Credo che il tempo debba ospitarmi di nuovo nella sua clinica. Adesso inizia la fase più dura di questa patologia emotiva così diffusa che di solito viene chiamata “abbandono”. Rammarico, impotenza, afflizione e stanchezza. Prima di oggi sono passato per due volte attraverso questo limbo e ne sono sempre uscito più forte, senza sacrificare l’intensità della mia volontà di amare. Il male vuole uccidermi e forse un giorno ci riuscirà, ma per ora deve rassegnarsi a guardare il ghigno di sfida che campeggia sulla faccia di questo ventiduenne in ginocchio. Ho adorato J. per quasi un anno e in parte sono contento della sofferenza che da un paio di ore si è nuovamente impadronita di me perché mi fa sentire vivo e mi ricorda quanto siano state vere le mie parole in tutti questi mesi. Un altro fallimento si è insinuato nella mia esistenza, ma io sono ancora qui e sono pronto a riprovare con ancora maggiore intensità. Sono soddisfatto di tutto quello che ho manifestato a J. e di come l’ho salutata per sempre. Le ho detto che le voglio bene, ma che non posso rimanere nella sua vita come un semplice amico perché ciò che provo ancora per lei non può essere ridotto a una mera amicizia. Infine le ho augurato molta felicità perché credo che se la meriti davvero. Buona fortuna J. Ci saranno sempre due destini che si sfioreranno senza mai toccarsi. Il tempo trasformerà il mio sentimento per lei, che in queste ore continua a vivere in me, in un dolce ricordo. La mia forza interiore si palesa in tutto il suo splendore in queste occasioni e mette in risalto il lato positivo dell’orgoglio. È fondamentale rischiare ogni frammento di sé stessi per l’amore senza fare calcoli e senza alzare barricate per proteggersi dal dolore. Sono stato scartato un’altra volta, sono stato rifiutato con gentilezza, ma sono ancora al mio posto. Devo assecondare le mie pene per un po’ e sfogarmi con il pianto sommesso di cui ho parlato ieri. Non ho paura di un cazzo e che la morte si fotta. Anche se dovessi concludere la mia vita da sconfitto, l’amore, questa parola così imbarazzante per qualcuno, continuerà a regnare e a benedire i suoi discepoli. Ho scattato poco fa la foto che si trova in fondo a questo ammasso di frasi e voglio che si fossilizzi sotto questo inno per ricordarmi chi sono e cosa provo.
Il tempo mi ha dimesso dalle sua clinica di fortuna e mi ha rilasciato un ticket che ho già utilizzato per farmi catapultare di nuovo in mezzo ai miei giorni senza senso. Un oracolo muto mi ha dato un consiglio, ma non sono riuscito a sentirlo. Attorno a me c’è ancora un grande vuoto che si bea di fronte all’intermittenza degli addobbi natalizi. Sono abbastanza sereno, ma non posso fare a meno di avvertire per l’ennesima volta l’aura di incompletezza che riposa sopra la mia vita. A volte mi sembra che il disco delle mie sinfonie interiori si sia incantato nel punto più dolente. Voglio disseminare suoni armonici sulle mie orme. Ogni tanto provo a immaginare la forza meccanica che occorre per generare un figlio: i movimenti ripetitivi del bacino maschile, il cigolio delle pulsioni e la baldanza egoistica della sessualità umana. Cado sempre sugli stessi argomenti, ma non posso farne a meno. Ciò che mi spinge a scrivere continuamente è la necessità di avere almeno un approccio teorico con alcuni fenomeni che non conosco affatto: amore, morte, perversione e altruismo. Certe volte penso che la mia inesperienza nei campi anzidetti mi offra un punto di vista privilegiato per osservare la parvenza della realtà che si manifesta quotidianamente di fronte ai miei occhi. Voglio lasciarmi alle spalle tutte le parole ampollose con le quali descrivo assiduamente la mia esistenza, ma ancora non posso farlo. Sono aggrappato alla mia grammatica precaria e mi auguro di lasciare presto la sua presa per piombare in una dimensione che non sia fondata unicamente su frasi superficialmente appariscenti. Una breve nota per me stesso: ricorda che queste non sono parole cupe.
Piango sommessamente nel buio della mia stanza quando gli sforzi fisici e le docce calde non riescono a chetare le mie angosce passeggere. Tutti piangono, ma non tutti lo ammettono. Credo che il pianto spesso sia considerato un gesto di debolezza, tuttavia gli indici di ascolto dimostrano che le persone sono attratte morbosamente dalle lacrime preparate a tavolino. Il mio ultimo ultimo pianto sommesso risale a qualche ora fa. Le inibizioni che pullulano nella società tentano di reprimere le lacrime. Un uomo che piange può essere visto come un emotivo effeminato, ma credo che considerazioni simili siano sessiste, superficiali e banali. Il pianto è come un silo dal quale è possibile, in ogni momento, prendere le lacrime da versare sulle proprie afflizioni. Piangere e basta non serve a nulla, lo sanno anche coloro che non sono mai nati, ma le lacrime mi aiutano a eliminare, almeno temporaneamente, le impurità che puntualmente incrostano la mia interiorità. Ecco alcune parole degne della fiera della banalità: credo che serva più coraggio ad ammettere le proprie debolezze che a ostentare la falsa sicurezza di un ufficiale militare. Il vittimismo è totalmente inutile, il rimpianto è la droga economica di chi possiede ancora una personalità acerba e penso che sia importante non confondere l’uso delle lacrime con questi atteggiamenti inconcludenti. L’unica maschera che voglio appoggiare ogni tanto sul mio viso è quella di Pierrot.
Qualche volta le cose non vanno come si desidera e allora che vadano pure a fare in culo. Mi domando se le delusioni possano essere detratte dalle tasse. La mia serenità è tornata a galla in tutta la sua incompletezza e anche questa volta ha evitato l’embolia. Ho voluto la bicicletta dell’eremita e adesso mi tocca pedalare lungo una strada vuota, ma non posso fare a meno di chiedermi quanto tempo manchi al prossimo incrocio pericoloso. A volte vivo degli attimi di esaltazione libertaria in cui sono contento di non avere nemmeno un legame profondo e in quei momenti mi sento una bellissima mosca bianca. Penso che l’essere umano debba assecondare la sua natura sociale, ma io, per adesso, non sono in grado di farlo. Ho lavorato molto sulla mia individualità e ho trascurato altri aspetti fondamentali della vita. Il mio iter individuale mi ha insegnato a metabolizzare facilmente gli eventi spiacevoli, ma allo stesso tempo ha diminuito la mia fragilità e di conseguenza mi ha reso meno sensibile. In altre parole credo che nel corso degli anni la mia alta tolleranza alla sofferenza psichica abbia condizionato negativamente la calibratura della mia sensibilità. Le parole non servono a un cazzo e ho l’ovvio presentimento che non si possa esplorare il proprio animo tramite qualche riflessione vagamente filosofante. Vedo la passione come una disciplina pratica in cui si modella materia organica, ma contemporaneamente ne sostengo la natura metafisica. La verità è che non ho idea di come esplodano i sentimenti e i suoi derivati o di come si formino i collanti emotivi e credo che ogni tentativo di rappresentare questi fenomeni debba essere relegato nel campo della fantascienza.
Per qualcuno un frammento di serenità può trovarsi nel passaggio di un ciloom a un amico mentre un pezzo dancehall infiamma un gazebo immerso nella campagna. Per me no. Non fumo erba e non ho amici con i dreadlocks in comodato d’uso. Mi aggradano le ramificazioni del reggae e solo davanti al reggaeton storco un po’ il naso. Provo una forte repulsione per Bob Marley e mi auguro che le radio non trasmettano “No Woman No Cry” né “One Love” fino all’ultimo ventennio di questo secolo. Per qualcun altro un frammento di serenità può annidarsi nel pogo. Non sono mai andato a nessun concerto metal per due ragioni: in primis perché ho una coscienza musicale e perché trovo che il pogo sia una perversione bisessuale. Mi sentirei più idiota del solito se andassi a un concerto degli Iron Maiden per fare a spallate con dei perfetti sconosciuti di fronte alla vergine di ferro in menopausa, però mi piacerebbe fare stage diving per uscire da un live dei Cannibal Corpse. Il metal mi ha dato molto, ma credo che un’adolescenza serena avrebbe potuto darmi di più. Ogni genere musicale che ha un target relativamente giovane è sempre accompagnato da qualcosa che trascende l’arte e sconfina nell’omologazione dei costumi. Da adolescente ho cercato la mia identità nella musica e ho commesso un grande errore che per molto tempo mi ha impedito di apprezzare molte sonorità diverse tra loro. Ci sono delle cose che non apprezzavo a quindici anni e che continuo a non digerire: i Beatles, una raccolta degli Yes di cui non ricordo il nome, Il gothic metal, e quasi tutta la musica leggera italiana, in particolare quella partenopea.