Dammi, dammi quello che non ho mai avuto anche se non mi spetta. Fammi sentire una parte di te. Strappa dalle mie mani la tentazione di pregare un dio umano e non lasciarmi solo. Accompagnami in un posto senza nome: seguimi o lascia che io segua la tue tracce fino alle porte di una nuova vita. Prima che i nostri corpi inizino il loro declino, prima che i nostri desideri diventino la struttura portante della più grande rovina che si possa costruire. Manca il respiro, mancano le parole, mancano le occasioni. Curiamo ed elogiamo i nostri giardini, ma non facciamo nulla per evitare che il loro ingresso venga sbarrato dalle inibizioni. Adoro il collo alto del tuo maglione nero, si intona perfettamente con la banalità dei miei incubi ed è un peccato che io non conosca i tratti del tuo viso. Guardami per sbaglio: sono l’espressione sana del vuoto. Ho controllato anche nelle fessure, ma non c’è nulla nel mio passato né nel mio presente che assomigli a ciò di cui ho bisogno; non ho ancora avuto tempo di rovistare nel futuro, ma ti terrò informata. Guardami un’altra volta per errore: sono la cellula metastatica di una gioventù terminale. Tu chi cazzo sei? Come ti chiami? Dove ti trovi? Non sai chi sono, non conosci il mio nome e non immagini quale sia il mio numero civico. Cerco l’anello di congiunzione tra la mia vita e una vita che non mi appartiene. Non ho un appuntamento, ma sono ugualmente in ritardo. Un piccolo numero di prestidigitazione: riesco ancora a tirare fuori sorrisi spontanei dal mio cilindro rattoppato. A carnevale indosserò una maschera d’ossigeno e per il resto dell’anno tratterrò il fiato.