A gennaio partirò per il Giappone. Lascerò la mia patria natia a seimila miglia di distanza e calcherò le strade nipponiche da solo. Trascorrerò almeno dieci giorni a Tokyo. Covo da tempo il desiderio di recarmi in Estremo Oriente e credo che per me sia giunto il momento di mettere piede nel Sol Levante. Durante la fase di decollo mi sentirò tutt’uno con l’aereo perché in quel momento anch’io inizierò staccarmi da terra, ma a differenza del Boeing continuerò a volare anche dopo l’atterraggio a Narita. Voglio vedere le esasperazioni tecnologiche di Tokyo e gli aspetti rurali delle zone limitrofe, e spero che sulla mia strada si stagli un bellissimo torii da contemplare in silenzio. Questo viaggio rappresenta il primo battito d’ali della mia migrazione verso nuovi punti di vista. Non vado dall’altra parte del mondo per cercare risposte a quesiti che non riesco neanche a pormi correttamente né per dimenticare qualcosa o qualcuno. Non mi interessa la ricerca del senso della vita e non sono attratto dai presunti insegnamenti di uomini saggi. Voglio che la casualità plasmi estemporaneamente gli eventi della mia vita. Non ho un approccio fatalistico verso l’avvenire e parimenti rifiuto aprioristicamente qualsiasi interpretazione dell’esistenza. Comprerò il biglietto di andata e ritorno per Tokyo a nome della mia spensieratezza. È passato quasi un anno da quando ho iniziato a scrivere quotidianamente su queste pagine virtuali; sono successe molte cose e molte cose succederanno ancora.
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