Ho accentuato involontariamente la descrizione degli effetti della mia ultima separazione platonica. Mi sento molto sollevato grazie alle riflessioni alle quali mi sono lasciato andare negli ultimi due giorni. Con queste parole non cerco di trasformare gli eventi recenti in inezie, ma provo a dare una giusta dimensione a ciò che mi è accaduto. Ogni tanto lascio che le mie dita ricoprano la mia scrittura con effetti pirotecnici. Sono abbastanza giovane per morire felice, ma sono troppo felice per morire giovane. Secondo le statistiche mi trovo all’inizio di un lungo corridoio piastrellato dalle evoluzioni spontanee e imperiose del tempo. Non aspetto un domani lontano, intriso di saggezza canuta e avvizzita, ma già oggi sorrido di fronte alle parole tanto melense quanto vere, tanto recenti quanto distanti, con le quali ho descritto le parti più basse del mio indecifrabile grafico esistenziale. La mia tristezza è tanto reale quanto la maternità di una bambina che accudisce una Barbie. Non ho ancora l’età anagrafica né esperienze realmente negative per divertirmi a contemplare l’infelicità. Vivo nella parte opulenta del pianeta dove le vittime del benessere materiale tentano di colmare i loro vuoti con la creazione di malinconie artificiali che spesso hanno poca attinenza con la realtà. L’infelicità offre le comodità di una sedia elettrica camuffata da trono e credo che lasciare volontariamente la propria interiorità nelle sue mani sia un atto sciagurato. Non ho ancora iniziato a vivere e tutte le manifestazioni di gioia e di disperazione che finora hanno varcato la soglia della mia coscienza sono state solamente le prove di un incipit esistenziale. Chiudo con una citazione in una lingua a me avversa: “Homo faber ipsius fortunae”.
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