Il tempo mi ha dimesso dalle sua clinica di fortuna e mi ha rilasciato un ticket che ho già utilizzato per farmi catapultare di nuovo in mezzo ai miei giorni senza senso. Un oracolo muto mi ha dato un consiglio, ma non sono riuscito a sentirlo. Attorno a me c’è ancora un grande vuoto che si bea di fronte all’intermittenza degli addobbi natalizi. Sono abbastanza sereno, ma non posso fare a meno di avvertire per l’ennesima volta l’aura di incompletezza che riposa sopra la mia vita. A volte mi sembra che il disco delle mie sinfonie interiori si sia incantato nel punto più dolente. Voglio disseminare suoni armonici sulle mie orme. Ogni tanto provo a immaginare la forza meccanica che occorre per generare un figlio: i movimenti ripetitivi del bacino maschile, il cigolio delle pulsioni e la baldanza egoistica della sessualità umana. Cado sempre sugli stessi argomenti, ma non posso farne a meno. Ciò che mi spinge a scrivere continuamente è la necessità di avere almeno un approccio teorico con alcuni fenomeni che non conosco affatto: amore, morte, perversione e altruismo. Certe volte penso che la mia inesperienza nei campi anzidetti mi offra un punto di vista privilegiato per osservare la parvenza della realtà che si manifesta quotidianamente di fronte ai miei occhi. Voglio lasciarmi alle spalle tutte le parole ampollose con le quali descrivo assiduamente la mia esistenza, ma ancora non posso farlo. Sono aggrappato alla mia grammatica precaria e mi auguro di lasciare presto la sua presa per piombare in una dimensione che non sia fondata unicamente su frasi superficialmente appariscenti. Una breve nota per me stesso: ricorda che queste non sono parole cupe.
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