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Il disordine di una stigmatizzazione indefinita

Mi infastidiscono le frasi fatte da terzi e usate per secondi fini dai soliti stronzi di prima classe. Mi chiedo come faccia un tetraplegico a svegliarsi con il piede giusto. Per le feste si usano gli addobbi: un fiocco azzurro come a Cogne e un fiocco nero, come a Cogne. Ogni tanto la fidanzata di un figlio primeggia nelle perversioni erotiche di un padre alla soglia dell’andropausa. Mucchi di ossa in preda all’osteoporosi aprono persiane di legno e siedono sopra il livello del mare per contemplare il mondo con prospettive anacronistiche. La cultura si diffonde come può e tanti sofisti dilettanti affinano la capacità di mentire a loro stessi: evviva l’alfabetizzazione! Preferisco le bestemmie spontanee di Massimo Ceccherini (o di chi ne fa le veci) alle poesie di Pablo Neruda. Mi sento ridicolo ogni volta che mi impegno per formulare un’opinione. A me non importa nulla di quello che scrivo e mi limito a usare le parole per erigere frasi semplici con la stessa passione per l’architettura di un bambino che gioca con le costruzioni. La mia forza risiede nelle mie seghe. La masturbazione ricorre spesso nei miei orgasmi semantici e ormai ci ho fatto la mano. Ogni tanto mi lascio andare a doppi sensi banalissimi che mi fanno sorridere immediatamente. In televisione ci sono tante vallette che sanno usare la bocca meglio dei truffatori, ma forse si tratta solo di un luogo comune. Se in questo momento avessi un sombrero in testa lo abbasserei fino al naso e lascerei all’ultimo segno di interpunzione il compito di chiudere la chiusa.

Francesco

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