Grandi opere architettoniche ombreggiano le ombre delle caste inferiori. I mercenari con i colletti bianchi lavorano alacremente per i signori della truffa. Alla mattina il brontolio delle vecchie generazioni si manifesta con il fruscio dei giornali. Discorsi sempre uguali rimbombano fortemente tra panni stesi e piani regolatori. Pensionati canuti sono soliti ristrutturare le proprie case prima di morire. Perditempo dai polmoni neri aspettano che una manna dal cielo cada sul loro tavolino, tra le schedine e le tazzine vuote, tra gli stronzi e le stronzate. “Grazie, arrivederci”. Lo scontrino simboleggia il potere di acquisto e chi lo impugna non esita a sventolarlo come se fosse un’orifiamma. Mi sento a casa quando passeggio come un clandestino attraverso le notti del secondo millennio. Qualche volta mi fossilizzo su pensieri nocivi e partorisco inutili fisime in mezzo a strade deserte. Scambio poche parole con il mio prossimo e non mangio molto pesce. In questo periodo la mia notte paradigmatica è formata da silenzi demenziali e dalle scelte musicali del mio umore. Sono seduto sulla punta di un promontorio e, con la mano sinistra in mezzo alle gambe, osservo la mia grande distesa di tempo. A volte mi sento a disagio di fronte all’inutile immensità dei miei giorni. Sospetto che la mia attenzione ignori molte cose importanti, ma non ho prove per formulare una buona accusa. Mi mancano i mezzi per decifrare certe espressioni dell’animo umano, ma sono contento che nella mia dispensa ci sia sempre del cibo e dell’acqua. È impressionante la quantità di parole che ho accatastato in questi mesi. Penso che la scrittura e l’esercizio fisico mi permettano di vivere abbastanza bene, ma che vita sarebbe senza seghe? Un giorno citofonerò a uno psicoanalista per comprendere meglio il rapporto tra me e la mia masturbazione. Forse.
Sono quasi le quattro di notte e le mie casse stanno pompando i bassi di “Army of the Pharaohs: The Torture Papers” dei Jedi Mind Tricks. Su questo sorta di mixtape si avvicendano molti mc’s validi e non c’è nemmeno una base che mi faccia storcere il naso. Al microfono il mio preferito è Vinnie Paz, mentre alle macchine trovo che Shuko sia il migliore. Non sono legato a un unico genere musicale, ma devo ammettere che certi dischi hip hop mi mandano in estasi e il lavoro realizzato sotto l’egida dei Jedi Mind Tricks è uno di questi. Le tracce sono composte da basi cupe ammaestrate ottimamente dal flow di tutti gli mc’s presenti, nessuno escluso. Ritengo che “Into The Arms of Angels”, “All Shall Perish” e “Listen Up” siano gli episodi migliori di questo capolavoro composto da tredici pezzi. Non voglio cedere alla tentazione di una monografia e preferisco gettare qualche parola qua e là per altri due album che ho ascoltato recentemente. Il primo è “Grandaddy Flow” di 9th Prince, un disco molto potente sotto ogni punto di vista che, almeno per il mio orecchio, ha la sua auge con “100 Degrees”, la traccia numero dieci. L’altro album con cui il mio udito si masturba spontaneamente è “Starr Status” di Kenn Starr. Il lavoro in questione scorre bene e si avvale di un tipo di sound molto diverso da quello dei dischi che ho citato finora. La traccia che preferisco è “If” (con Talib Kweli) che chiude l’album con una linea di basso in grado di farmi raggiungere l’orgasmo acustico.
In questo periodo mi intrattengo con la televisione più del solito. Mi piacciono le trasmissioni trash, ma credo che ce ne siano troppe. Da quest’anno ho incominciato ad apprezzare il format del reality show e ne sono felice. Penso che la televisione italiana faccia bene a importare idee dagli Stati Uniti, poiché non credo che abbia le capacità per creare qualcosa di nuovo. Tra i programmi prettamente trash apprezzo molto “La Pupa e Il Secchione” che ritengo un esempio molto divertente di televisione volutamente stereotipata. Per par condicio mi sposto sul fronte della Rai e non posso fare a meno di osannare la partecipazione di Massimo Ceccherini a “L’isola dei Famosi”. Per compensare la frivolezza dei programmi succitati guardo con interesse “Anno Zero”, “Mi Manda Rai Tre” e “Ballarò” quando la dialettica degli ospiti politici non diventa soporifera e inutilmente prolissa. Mi piace molto la conduzione di Federica Sciarelli a “Chi L’Ha Visto?” e seguo con interesse il processo a Vanna Marchi tramite “Un Giorno in Pretura”. Forse ho sempre preteso troppo dalla TV italiana, ma sto imparando ad accettarla per quello che è: un coacervo di persone spesso impreparate che veicolano idee prese in prestito e che talvolta riescono a strappare una risata. Tengo a sottolineare la beltà di Monica Leofreddi e del suo décolleté. Sto abbandonando una parte del mio stupido snobismo, e non solo nei confronti dei mezzi massmediatici, ma questo non vuol dire che io sia disposto a inglobare qualsiasi cosa. Spero che nei palinsesti televisivi trovi posto qualche nuovo telefilm made in USA. Finalmente posso leggere con interesse gli articoli di Aldo Grasso.
Il vento continua a spirare violentemente e con la sua energia alimenta rumori molesti. Ho voglia di uscire per scontrarmi con qualche raffica e per assecondare l’indole adolescenziale che non voglio allontanare dalla mia età crescente. Mi piacciono i piccoli episodi di disordine provocati dalla forza eolica. Talvolta i capricci degli elementi piegano il genere umano e ne ridimensionano l’Ego. Non sono un feticista della natura, ma ci tengo a vivere appieno il mio ruolo di pedina biologica. Non sono ancora riuscito a plasmare completamente il mio corpo, infatti i miei addominali sono ancora nascosti, ma sto combattendo con il piacere dello sforzo fisico per erigerli. Voglio avvicinarmi alla vecchiaia con una mente e un corpo in grado di fronteggiare il più a lungo possibile la dolce ombra della morte. Per me è presto per pensare a certi momenti, ma ho sempre nutrito una forte curiosità, a tratti morbosa, verso la fase crepuscolare della vita. Credo che il pensiero ricorrente della mia morte non sia altro che un esercizio progressivo per esorcizzare la fine e per evitare di concepirla in un modo luttuoso ed esageratamente popolare. Penso che una fine presupponga sempre un inizio. Chissà dove fugge la coscienza quando il corpo smette di funzionare. Continuo a sostenere che il genere umano riuscirà a risolvere l’enigma della vita e della morte, ma per allora io sarò già cibo per le esche dei pescatori. Nonostante le atrocità naturali e artificiali di certi accadimenti del mondo ripongo molto fiducia nell’umanità e mi auguro che essa non si strangoli da sola a causa di un attacco di epilessia nucleare.
Un pomeriggio nuvoloso e ventoso ricopre il mio luogo natio. Le mie casse provvedono ad allietarmi con il suono di “Starr Status”, un album di Kenn Starr. Oggi sono pervaso da una piacevole sensazione e mi chiedo se stanotte un’infermiera mascherata mi abbia fatto una puntura di euforia. Attorno a me tutto segue il ritmo dettato da una lentezza piacevole e distensiva. Un ragno armato di pazienza certosina ha creato una ragnatela abbastanza imponente sulle mie persiane, ma la sua opera viene scossa continuamente del vento e mi fa un po’ ridere. Non mi sento ancora pronto per dare asilo politico agli invertebrati e perciò più tardi darò lo sfratto all’aracnide e demolirò la sua costruzione abusiva. Ho voglia di bere qualcosa e credo che opterò ancora una volta per una spremuta d’arancia: acido ascorbico a gogò. Dopo l’ultimo punto di questo breve scritto mi farò una sega corroborante poiché, come ogni giorno, sento la necessità di svuotarmi le palle. Alle volte vorrei stare un po’ di tempo senza masturbarmi, ma non riesco a non assecondare il bisogno fisiologico di espellere il liquido seminale. A volte mi sembra che io parli del mio onanismo come se fosse un sacrificio e in questi casi non posso fare a meno di ridere. Ogni tanto mi trovo terribilmente buffo. Ho scoperto dei modi anglofoni per indicare il momento della masturbazione e ne ho tradotti alcuni: “far piangere il ciclope”, “vuotare la canna del fucile”, “stringere le mani con il presidente”, “versare latte”, “pulire i condotti” e, dulcis in fundo, “mandare in collera il cobra”.
Tento di depennare dal mio calendario i giorni meno soavi. Mi trovo nel pieno del mio slancio vitale e spero di dare una forma celestiale alle incognite del mio futuro. Ho voglia di pettinare i capelli biondi di una valchiria toscana che da tempo immemore siede sul mio anelito più profondo. La poca lucentezza di certi periodi per me rappresenta un vizio cupo. L’ubriacone cronico baccheggia con il vino, io, l’onanista incallito, uso la masturbazione e dei pensieri volutamente malinconici al posto dei litri di alcol. Sono il migliore amico dell’etilometro e mi masturbo sotto la doccia con la stessa destrezza di un ninja. Ogni giorno la mia vista si affatica su una miriade di parole, ma raramente inquadra qualcosa che abbia un significato importante per il mio microcosmo. La mia volontà è protesa verso una serie di gesti dolci che hanno lo scopo di completare la mia vita e non di edulcorarla. L’inutile ampollosità con cui adorno queste righe stride con la volgare autoironia con la quale flagello il mio orgoglio, ovvero quella minoranza etnica del mio essere alla quale cerco di non dare troppa importanza. Non pretendo che l’avallo della logica trovi posto nella banalità di questa descrizione: luci soffuse, incenso spento, legna infuocata e discreta, tuoni e lampi, chioma aurea sopra il cashmere, finta timidezza, complicità licenziosa e sorsi analcolici. Voglo compiere nuovi movimenti con le mie falangi e desidero aprire scrigni immateriali per arricchirmi con qualcosa di incorruttibile.
Una piccola chiesa di campagna abbandonata alle ombre dei voli corvini ospita il ruzzo dei piccoli e la religiosità di uomini errabondi. Il sudore della fatica agreste fertilizza i grandi campi senza fine. Gli animali emettono versi molto diversi da quelli onomatopeici che solitamente vengono insegnati ai bambini. La poesia delle tradizioni secolari si estrinseca da sé. Il movimento degli attrezzi rudimentali evidenzia il dinamismo contadino e la virilità del lavoro soleggiato. Motivetti ripetitivi muovono gli steli e movimenti canini provocano strali infantili. Il retaggio delle abitudini sorregge le case coloniche e una piacevole rassegnazione sfregia con grazia i volti di chi vive la stessa vita da generazioni. I dipinti naif si trovano accanto ai rosari e le scarpe da lavoro accanto ai grembiuli delle mogli. Massaie con i denti un po’ gialli ripongono speranze e panni puliti dentro vecchie ceste di legno. Una ritualità silenziosa aleggia attorno alle tavole imbandite semplicemente nell’ora del pasto serale. I figli vengono educati dalla severità dei padri e dalla comprensione delle nonne. Il contatto continuo con la ciclicità delle stagioni permette a queste famiglie di accettare con più facilità la ciclicità della vita. Ragazze troppo grandi per giocare e troppo giovani per sposarsi compiono lunghe passeggiate in sella a vecchie biciclette rumorose. Nuvole antropomorfe vanno e vengono senza destare troppo interesse. Durante i giorni di pioggia il focolare domestico si riempie di parole e gesti arcaici.
Mi trovo ancora sotto una schiera di influenze negative, ma non ho intenzione di cedere il passo all’impulsività. Dal mio televisore sta fuoriuscendo il riassunto della domenica calcistica, ma non sono interessato ai goal né alle interviste del dopopartita. Per me ottobre sarà un mese ottenebrato dalle nubi degli ultimi giorni settembrini. Nella mia stiva non ci sono buoni propositi né prospettive particolarmente entusiasmanti, ma questa non è una novità. Verso la fine dell’anno mi informerò presso la motorizzazione di Grosseto per sostenere di nuovo l’esame di teoria per la patente. La prima volta sono riuscito a superare l’esame di teoria senza problemi, ma, ahimè, non ho avuto altrettanta fortuna con la pratica, infatti al primo tentativo sono stato bocciato durante la fase finale dell’esame e la seconda volta non mi sono presentato a causa di forti contrasti con il mio “istruttore”. Il mio foglio rosa scade il sette dicembre, ma penso già di poterlo riciclare come carta per la raccolta amatoriale dello sterco. Le traversie con il fantastico mondo della burocrazia italiana sono componenti importanti della mia vita e, insieme ai dialoghi senza senso con il clochard di turno, rappresentano il punto più alto della mia socialità. Oh sì, adoro dileggiare la pochezza della mia esistenza, nonostante la grande mole di vuoto che porto sulla groppa. Durante gli ultimi giorni mi sono sottoposto a un grande sforzo fisico ed è possibile che il mio corpo ne abbia risentito. Avverto un impellente bisogno di zuccheri per placare il lieve nervosismo che pervade il mio corpo da alcune ore e, a meno che il sonno non mi sorprenda prima, attorno alle cinque di mattina mi recherò al mio forno di fiducia per acquistare qualche dolce.
Stanotte ho camminato molto. Sono uscito di casa e ho vagato per almeno un paio di ore lungo una stradina di campagna priva di illuminazione. Durante i tratti più bui del mio percorso ho tappato il naso con due dita e mi sono immerso nei pensieri che stazionano al mio interno. Ho approfittato dei chilometri notturni per ripassare un insegnamento tanto vecchio quanto semplice. Ho rammentato l’impossibilità di decifrare la realtà oggettiva e il vizio delle percezioni individuali. Credo che il mondo non sia altro che la somma delle proprie interpretazioni e penso che l’uso di una chiave di lettura negativa non possa connotarlo positivamente. È possibile che la tendenza alla tristezza dipenda da una visione del mondo imperniata sulla tristezza e che una tendenza all’ottimismo dipenda da una visione del mondo imperniata sull’ottimismo. Condivido l’idea che lo stato d’animo di un individuo non sia collegato a un avvenimento, ma bensì all’interiorizzazione di tale avvenimento. Queste parole sono di una semplicità disarmante, ma credo che la loro applicazione nella vita quotidiana non sia affatto facile. Ho imparato per l’ennesima volta l’importanza di approfondire la conoscenza di me stesso e indirizzerò le mie letture future in questo senso. Spesso mi sembra che le dottrine orientali vengano utilizzate per masturbare l’Ego occidentale e per dare un tono di apparente profondità a certi razziatori di folclore. Non voglio incappare nella cultura new age né ascoltare in un silenzio ridicolo filosofi improvvisati o santoni della domenica, ma desidero approfondire certi argomenti con una serietà pacata e piacevole.