Abito davanti alle porte dei miei bisogni e ogni giorno seguo con lo sguardo il veloce andirivieni dei desideri inespressi. Qualche volta parlo da solo a voce alta e racconto a me stesso frammenti del mio passato. Non ho molti argomenti a disposizione e sono egocentrico per necessità. Il solipsismo mi suggerisce le parole e io mi limito a metterle in ordine sopra queste righe. Ho abitutidini da pensionato e impulsi da orfano pubescente. Vivo al di là della mia età e non riesco a dare un senso al mio tempo. Di tanto in tanto mi diverto a scacciare piccole ossessioni dalla mente. Mi piacciono le nubi e i nubifragi, ma non mi considero un pessimista né un fan delle catastrofi. La pioggia estiva mi ricorda alcuni pomeriggi di tenero isolamento sotto cieli dalle sembianze apocalittiche. La mia esistenza in certi momenti mi fa sentire tutto il suo peso, ma in altre occasioni mi strappa sorrisi così larghi che non riesco a farli stare sulla mia faccia. Sono coccolato dalla consapevolezza di essere un individuo intrappolato nelle proprie percezioni. Non voglio che scoppi di euforia o sensazioni lancinanti traggano in errore la mia vista. Saluto i miei giorni senza la commozione provata dai parenti dei viaggiatori diretti a Ellis Island. Colleziono sforzi fisici, digiuni saltuari, brevi atti di onanismo ed elucubrazioni tanto lunghe quante inutili. Alle volte non riesco ad afferrare dei concetti semplici e non di rado abbandono le trincee della fisicità per rifugiarmi nel sonno. I meccanismi che muovono la mie parole ripetitive sono semplici e datati. Un disegno di Daniel Thibodeau rappresenta perfettamente il mio modo di concepire un certo tipo di ingranaggi.
Enormi luci psichedeliche illuminano le danze dionisiache della città notturna. I morti lasciano i loculi incustoditi e si uniscono ai vivi per festeggiare l’ultimo carnevale del mondo. Maschere esotiche e carri imponenti sfilano freneticamente lungo le vie del centro. Urli pieni di gioia decollano dalle gole di bellissime donne creole e atterrano sull’euforia collettiva. Le ragazze dell’Est saltano da una parte all’altra con la stessa brama d’avventura che ricorda il crollo di alcuni mattoni berlinesi. Etnie totalmente diverse si scontrano con passione in mezzo a un crocevia di sguardi seducenti. Ventri adornati con gemme grezze si muovono velocemente e a tratti sembra che riescano a ingannare gli effetti del tempo. Una lunga fila di carovane affianca i grandi carri di cartapesta mentre un fuoco d’artificio disegna forme astratte sull’immensa tavola nera. Bevande di ogni genere circolano nel sangue del popolo festante e nessuno tra i miliardi di avventori osa domandare cosa accadrà domani. In mezzo al tripudio dei cinque continenti non c’è spazio per gli interrogativi né per i dogmi, non c’è interesse per la verità né per la sua negazione. La gnoseologia millenaria ormai è una disciplina senza discepoli e tutti i seguaci del respiro umano preferiscono vivere l’ultimo carnevale del mondo assieme agli ultimi istanti del proprio presente. Alle prime luci dell’alba si spegneranno le ultime luci del mondo. Il pianeta inizierà un lungo sonno nel silenzio della sua galassia e continuerà a dormire fino a quando le forze del tempo bloccheranno il suo moto di rotazione e scinderanno la sua massa in atomi solitari.
Il rumore di un elicottero solca la strada e ingloba tutte le parole che riescono a evadere dalle fauci dei pedoni. I resti di una notte di pioggia intristiscono le vesti dell’urbe con sfumature plumbee. I passanti mangiano chilometri a testa bassa, impugnano ombrelli per prevenire una pioggia improvvisa e ostentano indifferenza verso le vetrine sporche. Drappelli di sconosciuti formano piccole tribù con segnali di fumo tassati dallo Stato. Casalinghe schiave della propria passività riempiono sacchi di plastica con vettovaglie scontate e trascorrono interi pomeriggi in piccole chiese per non udire il suono dell’erotismo. Le “nuove” frontiere della telecomunicazione permettono alle persone di aggiungere un altro alter ego alla loro scuderia di desideri e di inibizioni. Le repliche dei drammi esistenziali vanno in onda generazione dopo generazione sopra i patiboli dedicati alla giovinezza. Lavavetri in toga provano a pulire i crimini più efferati con colpi di spugna e puntualmente sollevano maree di polemiche che si perdono in breve tempo nel grande circo della cronaca. Nel ventre dei cantieri tristi e martellanti si muovono teste di plastica gialla che sviluppano con zelo ativico i monumenti deformi in onore dei mutui e della pressione fiscale. Un duo bohémien attende nove mesi per trasformarsi in un terzetto borghese e non pensa a quanto possa essere pericolosa la fretta di invitare qualcuno a vivere. Cene apparentemente conviviali e note sopra calendari verecondi segnano una nuova età. Mangio da solo e contemplo unicamente calendari porno per crogiolarmi nel mio status di puer aeternus.
Considerazioni sulla valenza della bestemmia
Pubblicato giovedì 19 Ottobre 2006 alle 11:56 da FrancescoLa bestemmia non è ancora stata sdoganata dai media a causa della teocrazia invisibile che governa molti aspetti della vita italiana. La libertà di bestemmiare deve essere un diritto inalienabile. Da piccolo ho dovuto vedere corpi crocefissi e immagini di dolore biblico, ho dovuto ascoltare le minacce della “fede” e assistere alle sue liturgie terrificanti: credo che imprecare contro tutto il presunto C.d.A. del cielo sia il minimo che io possa fare. Nella mia scirttura non si nota, ma colloquialmente utilizzo la bestemmia come intercalare. Per me dire “dio cane” è un modo come un altro per esprimere il mio essere toscano e per avvalermi di un’espressione illogica prevista dalla mia lingua madre. La bestemmia ha un valore linguistico non indifferente e la sua importanza deriva dal suo vasto utilizzo. Penso che sia venuto il momento di abbandonare le paure metafisiche di questa nazione per lasciare che le persone siano libere di sfogare la propria fantasia bestemmiatrice di fronte alle telecamere e sui quotidiani. La bestemmia, grazie alla sua natura violenta, è un ottimo mezzo per dare enfasi ai propri concetti. Durante una conversazione non lesino mai imprecazioni contro la mitologia cristiana per sottolineare il punto di un mio discorso. Mi fa ridere a crepapelle chi sostiene che la bestemmia non sia altro che un gesto di inciviltà e maleducazione. Nella vita di tutti i giorni ci sono atteggiamenti e frasi veramente incivili, ma sono tollerati, e talvolta incentivati, poiché la loro forma ha una virulenza esteriore molto inferiore rispetto alla bestemmia. Un esempio di quanto ho appena scritto può essere l’atteggiamento di sufficienza e di superbia di alcuni addetti dell’amministrazione pubblica o il tono e la scelta dei vocaboli con cui certi individui si rapportano ai problemi degli altri. Voglio analizzare una bestemmia prima di concludere questo panegirico. Credo che scrivere o dire “porco dio” non sia uguale a scrivere o dire “porco Dio”. Penso che un’attenta riflessione linguistica non possa che liberare la bestemmia da qualsiasi forma censoria di stampo ecumenico. Mi auguro che la censura non metta piede in questo remoto angolo di Internet.
Se guardo i miei fallimenti in controluce riesco a scorgere un po’ di utilità. Non ho ancora i mezzi per emergere dal sotterraneo emozionale nel quale mi trovo da prima della mia nascita. Cartelloni ammiccanti mi offrono cibo cancerogeno e acqua avvelenata, e sono costretto a respirare tossine mentre perdo qualche secondo fatuo a leggere le loro preghiere di acquisto. Cerco di non perdere il passo della mia età, ma per ora la stanchezza cronica della mente non mi permette di superare i miei limiti. Sono stato bocciato un po’ ovunque e in particolare al corso dei legami sentimentali. La mia incapacità di instaurare un rapporto profondo è acclarata e va di pari passo con la mia totale inesperienza. Nel corso dei miei primi anni ho imparato a non tenere molto alle persone e questo meccanismo, che io definirei di difesa interiore, mi ha aiutato a vivere tranquillamente per un bel po’, ma solo ora mi rendo conto che si tratta di un’arma a doppio taglio. Per me l’isolamento è stato un ottimo passatempo dal quale ho imparato molto durante l’adolescenza, ma adesso, mentre mi trovo in rotta verso l’età adulta, capisco che l’isolamento non è più un modo per ingannare gli anni, ma una vera e propria sfida contro la mia natura sociale. Purtroppo non posso mutare il mio atteggiamento mentale da un giorno all’altro, poiché sarebbe nocivo e di conseguenza non mi servirebbe a un cazzo, inoltre non sono disposto a edificare rapporti solo per il bisogno di evadere dal mio stato solipsistico. Credo che certi legami debbano nascere spontaneamente, ma è ovvio che nel deserto certe cose facciano fatica a fiorire: senza un retroterra affettivo ci vuole più tempo per vivere date situazioni e non è detto che il soffio della volontà porti con sé la certezza di un risultato.
I giorni spariscono velocemente come gli anni di una prostituta. Il ciclo continua senza sosta: uteri inesperti sputano fuori vite randagie e vecchi giovani iniziano a serrare gli occhi. Personaggi troppo deboli vengono schiacchiati dal peso della loro grande sensibilità e preferiscono abbandonare il mondo dei vivi, altri invece si lasciano consumare da convulsioni sentimentali senza fine. Esistono sottosuoli pieni di psicodrammi che pisciano in bocca alla certezze di ogni età. Sono distante dieci parsec da certe situazioni e ne sono contento. Piccole fisime mi bombardano pesantemente. Ostento sicurezza e gioco con il nichilismo, ma in realtà sono un clandestino spensierato in un’epoca che non mi appartiene, ovvero un povero stronzo che si randella il pene una volta al dì. Sembra che a ogni angolo di strada si trovi un grande profeta. Quando le persone tentano di dare soluzioni a problemi inesistenti io non posso fare a meno di ridere e imprecare. Day by day aumenta il numero dei giorni che vivo alla giornata. Non stilo buoni propositi perché non sono in grado di ottemperarli. Tutto sommato non ho motivo per lamentarmi del divenire, ma non ho nemmeno una ragione per essene esaltato. Sono a corto di spunti e per adesso non c’è nulla che mi ispiri. Ogni tanto mi sento come se fossi in aspettativa per qualcosa che non va atteso. Sotto casa mia alcune forchette collidono con i piatti e provocano un rumore che mi invita a pranzare di fronte alle notizie del giorno. Mi auguro che il mio primo pasto sia ricco di carboidrati.
Inizio ad avvertire i primi movimenti dell’autunno. Ho tanto tempo da spendere e ho intenzione di sperperarlo con la stessa foga di una squinzia in via Montenapoleone. Nelle mie viscere, sotto gli sguardi imperturbabili delle ventiquattrore quotidiane, continua la tradizionale lotta tra la serenità e il vuoto esistenziale. La mia età è una burla e i cambiamenti di umore sono il suo frutto. Voglio diventare un interprete della realtà per fertilizzare il mio Eden con grandi tocchi di merda sorridente. Non valgo molto come giardiniere, ma sono in grado di cacare con estrema finezza. Devo ricordarmi di comprare un po’ di vernice per disegnare sopra una parete qualsiasi il punto deputato ad accogliere le mie prossime craniate. Ogni tanto appoggio la testa sopra al tavolino come se fossi sulla via della cirrosi epatica e lascio che un po’ di soul mi deprima. C’è di tutto nel mio cranio: ansie che corrono con le accette in mano, lampioni a gas che generano chiarori torpidi, esplosioni solari che illuminano i miei passi più fortunati e illusioni attaccate sopra pareti di ametiste. Ci sono centinaia di meccanismi incastonati nel mio cerebro ed è un peccato che io debba ancora apprendere il loro funzionamento. Ho poche idee e ancor meno spunti per realizzarle. A volte il mio entusiasmo insorge contro la visione erronea della realtà, ma non è ancora organizzato a sufficienza per avere la meglio sui difetti armati delle mie percezioni. Per adesso sono da solo in un avamposto poco importante e osservando con attenzione ogni punto cardinale non riesco a scorgere alleati né nemici; si tratta di abile mimetismo o di pura desolazione? Attendo le scorte di risposte e non le risposte di scorta. Punto il Mauser Gewehr verso l’orizzonte e fingo di sparare addosso al nulla.
Sforzo ascetico e kalokagatia personale
Pubblicato domenica 15 Ottobre 2006 alle 09:19 da FrancescoIeri sono uscito di casa attorno alle due del pomeriggio per raggiungere la grande croce che si trova sul Monte Argentario. Solo per arrivare in cima ho camminato per due ore tra la vegetazione boschiva e i saltuari rumori delle attività umane. Dopo aver raggiunto la meta sono salito sul blocco di pietra che si trova di fronte alla grande croce e ci sono restato sopra alcuni minuti per gustarmi la vista di Orbetello in miniatura. Per tornare a casa ho impiegato altre due ore, ma per fortuna il ritorno è stato prevalentemente in discesa e di conseguenza meno faticoso. Questa lunga camminata dalle velleità ascetiche mi ha fatto molto bene. Ho fatto il pieno all’autostima e ho corroborato la mente. Già il 31 dicembre del 2004 avevo compiuto lo stesso percorso di ieri: un Capodanno salutare e ironicamente autolesionista. Ancora una volta rifiuto il dualismo cartesiano per osannare l’importanza del rapporto passionale tra res cogitans e res extensa. Il continuo allenamento delle mie facoltà può sembrare una mera speculazione psicofisica, ma in realtà ha una rilevanza vitale per la qualità della mia vita. La kalokagatia tradizionalmente è la somma di bellezza fisica e morale proba, mentre per me si tratta dell’unione della metamorale e della resistenza fisica. Ho adattato la kalokagatia alla mia esistenza senza stravolgerne il significato. Ho inserito la resistenza fisica al posto della bellezza, poiché per me quest’ultima risiede nei connotati ariani e non posso ambirla a causa della mia etnia. Ho inserito la metamorale al posto della morale, poiché, a eccezione della merda cattolica, non ho mai avuto una morale di riferimento e per questo penso che la mia moralità debba svilupparsi tramite una riflessione su se stessa. Non mi piace il dogmatismo e di solito lo uso per l’igiene del mio scroto.
Sono recluso in un penitenziario formato da paesaggi di varia natura e da lingue antiche. Non riesco ad assimilare le sensazioni che emanano i luoghi in cui mi trovo a respirare. A volte ho la sensazione che al posto della mia coscienza ci sia l’ambasciatore di me stesso in visita ufficiale. Non mi sento autentico quando tento di vivere quell’incalcolabile lasso di tempo che viene comunemente appellato “presente”. La mia serenità alienante si è nascosta da qualche parte e ha lasciato solo l’alienazione a farmi compagnia. Cerco di essere sereno, ma pensieri inutilimente grevi attanagliano la mia testa e mi impediscono di frenare il grande carro di visioni meste. Vedo arcobaleni in bianco e nero, campi brulli e immagini autunnali. Vorrei verniciare la mia esistenza bicromatica con tinte bellissime. Mi piacerebbe fare il passo più lungo della gamba, ma devo ancora saldare il conto per tutti i passi falsi che ho commesso durante il mio primo ventennio. Non ho reminiscenze né ricordi così importanti in grado di giustificare la comparsa di una nostalgia sincera e per questa ragione tengo a bada il mio passato per evitare che assuma un’importanta eccessiva. Finora il mio tempo è stato scandito da equilibri precari e da eventi di scarsa importanza per la mia vita. Sono afflitto dall’angoscia per il futuro descritta da Kierkegaard, ma a differenza di quest’ultimo non ho una fede religiosa con la quale alleviare il mio stato interiore. Credo che la mia angoscia per il futuro derivi dalla mancanza di un passato sereno e dalla costanza di un presente vuoto.
Finalmente è comparso qualcosa di nuovo nella mia vita: la caduta dei capelli! Per adesso ho solo una piccola alopecia sulla parte sinistra del cranio e non so ancora se sia passeggera o definitiva. Forse mi trovo di fronte a una calvizie incipiente ed è possibile che la cause si trovino nel mio stress inconscio. La natura non ha pietà di me: mi ha dato un pisello piccolo, i denti storti, meno di un metro e settanta di altezza, e questa simpatica alopecia. Per fare l’en plein aspetto con fiducia l’osteoporosi e il cancro. Alleno il mio corpo con costanza e sono sempre in peso forma per sentirmi bene, ma mi rendo conto di possedere una bruttura ereditaria dalla quale non posso staccarmi. Ho superato da tanto tempo il complesso della mia mancanza di bellezza e oggi uso la mia incapacità di essere avvenente per fare due risate alle spalle di me stesso. Non mi prendo sul serio ed è per questo motivo che riesco ad accettare con facilità i numerosi fallimenti che generano e che mi hanno generato. Sono il frutto di un ingranaggio difettoso e utilizzo la mia condizione per dare vita a uno spettacolo grottesco di cui sono il protagonista e l’unico spettatore. Penso che qualcuno nel mio stesso stato si senta rifiutato dal mondo, ma credo che in realtà un individuo non possa pretendere di essere accettato dagli altri se lui per primo non accetta se stesso. La mia bruttura non riguarda solo i limiti che mi ha imposto la natura, ma coinvolge anche il carattere orribile che ho forgiato in questi anni. A volte la bellezza fisica di una persona può compensare le mancanze intellettuali e viceversa, ma nel mio caso, e immagino che non sia l’unico, si trovano due strati di bruttura sovrapposti: uno fisico e uno morale. Scrivo queste cose per schematizzare le ragioni del mio stato solipsistico e per evitare che la mia psiche mi inganni con qualche stramba giustificazione. Ho già consumato la mia razione quotidiana di masturbazione e credo che dedicherò la mattina alla lettura e ai pesi.