Ultimamente i corpi partenopei grondano più sangue del solito e provocano emorragie profonde negli organi di stampa. Bang e un altro nome si avvia nel dimenticatoio della cronaca nera. L’ondata di violenza di questi giorni mi ricorda quel genere cinematografico cosiddetto “poliziottesco” che ha avuto il suo momento di gloria negli anni settanta e la pioggia di piombo che è caduta recentemente sul napoletano mi ha invogliato a guardare alcuni film del genere succitato. Un po’ di tempo fa ho rivisto “Milano Odia: La Polizia Non Può Sparare” e mi è piaciuto moltissimo nonostante fosse la quarta volta che assistevo all’ottima recitazione di Tomas Milian e al doppiaggio impeccabile di Ferruccio Amendola. Ho sempre nutrito una forte attrazione nei confronti della criminalità romanzata dal cinema, ma non ho mai pensato di emulare le gesta di Vallanzasca. Vorrei usufruire del ponte ologrammi dell’Enterprise per simulare una rapina e sentire cosa si prova a puntare un’arma contro i propri simili. Non covo desideri di sopraffazione, ma solo una forte curiosità verso le meccaniche interiori che portano l’uomo a camminare lungo sentieri noir. Non sono così ingenuo come credo e mi rendo conto che la mia attenzione per il mondo del crimine occupa temporaneamente delle parti della mia personalità che sono deputate ad accogliere altri interessi.
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