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Sforzo ascetico e kalokagatia personale

Ieri sono uscito di casa attorno alle due del pomeriggio per raggiungere la grande croce che si trova sul Monte Argentario. Solo per arrivare in cima ho camminato per due ore tra la vegetazione boschiva e i saltuari rumori delle attività umane. Dopo aver raggiunto la meta sono salito sul blocco di pietra che si trova di fronte alla grande croce e ci sono restato sopra alcuni minuti per gustarmi la vista di Orbetello in miniatura. Per tornare a casa ho impiegato altre due ore, ma per fortuna il ritorno è stato prevalentemente in discesa e di conseguenza meno faticoso. Questa lunga camminata dalle velleità ascetiche mi ha fatto molto bene. Ho fatto il pieno all’autostima e ho corroborato la mente. Già il 31 dicembre del 2004 avevo compiuto lo stesso percorso di ieri: un Capodanno salutare e ironicamente autolesionista. Ancora una volta rifiuto il dualismo cartesiano per osannare l’importanza del rapporto passionale tra res cogitans e res extensa. Il continuo allenamento delle mie facoltà può sembrare una mera speculazione psicofisica, ma in realtà ha una rilevanza vitale per la qualità della mia vita. La kalokagatia tradizionalmente è la somma di bellezza fisica e morale proba, mentre per me si tratta dell’unione della metamorale e della resistenza fisica. Ho adattato la kalokagatia alla mia esistenza senza stravolgerne il significato. Ho inserito la resistenza fisica al posto della bellezza, poiché per me quest’ultima risiede nei connotati ariani e non posso ambirla a causa della mia etnia. Ho inserito la metamorale al posto della morale, poiché, a eccezione della merda cattolica, non ho mai avuto una morale di riferimento e per questo penso che la mia moralità debba svilupparsi tramite una riflessione su se stessa. Non mi piace il dogmatismo e di solito lo uso per l’igiene del mio scroto.

Francesco

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