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Parlandomi

Corro rapidamente da un capo all’altro delle mie percezioni e lascio dietro di me scie di silenzi quotidiani. Il mio dinamismo è un soggetto perfetto per l’occhio malandato di un futurista. Alle volte mi alzo quando fa buio e mi addormento sotto la tenue luce di un mattino feriale. Mi sento un apolide e vorrei andare ovunque. A volte immagino di attraversare il Kazakistan su un treno merci e di sorpassare il confine usbeco sopra un carro trainato da una lenta quadriglia. Sono stato il testimone di partenze e di ritorni, ma quel continuo andirivieni non mi ha mai riguardato. Non ci sono molti punti fermi nella mia bolla di sapone, ma forse non sono così importanti come penso. Vorrei sollevarmi e saltare per agguantare ciò che mi manca. Ho bisogno di una spinta fenomenale verso l’alto simile a quella di uno shuttle del ventunesimo secolo. Sono alla ricerca di un’energia incommensurabile, ma per ora ho solo una tunica logora e un bastone di bambù. Conosco la forma di certe parole, ma non ho mai sentito il loro suono. Voglio essere in grado di apprezzare ogni momento di quiete che bussa con discrezione sulla mia interiorità. Mi riprometto di non lasciarmi sedurre dalla ricerca estenuante dei motivi che stanno alla base di certi avvenimenti. Voglio presenziare alle irruenti manifestazioni della casualità e alle fredde celebrazioni dei calcoli machiavellici senza interrogarmi sulle cause e sugli effetti. Conosco alcuni dei miei conflitti interiori e cerco continuamente una strada per la pacificazione con me stesso. Non sono particolarmente complessato né soffro granché i miei contrasti viscerali, ma spero che nuove sensazioni bombardino le mie orme.

Francesco

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