Una riflessione ascetica accarezza le mie tempie. Il pensiero della rinuncia a ogni sorriso che non sia il mio riesce ad allietare la mia stanchezza mentale. Attorno a me vedo solo terra bruciata sulla quale la mia serenità alienante passeggia con noncuranza. Le mie giornate trascorrono tutte uguali: se fosse possibile ritrovare il tempo perduto a me basterebbe un solo identikit. Vorrei unirmi a ciò che mi manca per respirare un’aria diversa, per innescare un cambiamento naturale, per riconciliarmi con sensazioni che ho vissuto da spermatozoo. Quando penso alle lacune della mia intimità mi sembra che la circolazione sanguigna rallenti e che nel petto si formino dei vuoti d’aria. Non riesco ad abbandonare la castità del mio corpo e dei miei sentimenti a causa della mia ignoranza affettiva. Il disagio che avverto nella parte più profonda di me non ha nulla a che fare con la semplice fisicità , di cui non ho esperienza, né con la semplice intesa, di cui ho poca conoscenza. Pensieri cupi martellano la mia ansia di vivere e tentano di farmi credere che tutt’intorno ci sia solo una inutilità perenne. Non riesco ad associare il sabato sera al divertimento né ad alcuna forma di goliardia. Al di là dei miei stati melanconici si trova sempre un sorriso eretto da una fantasia sempiterna. Chissà quanti piccoli ghigni usciranno dalla mia bocca avvizzita quando, ripensando alle mie parole di giovane inesperto, inizierò a vedere le ultime luci del vespro. Mi piace porre punti e virgole nella descrizione del mio handicap esistenziale. Nei momenti di luce e durante gli stadi più intensi di oscurità , mi allieta pensare alla finitezza di ogni cosa.