Disorientamento emozionale

Da alcuni giorni a questa parte un po’ di insicurezza illumina i miei risvegli. La gioia di un sentimento embrionale mi accarezza con dolcezza, ma allo stesso tempo l’ansia di questa sensazione meravigliosa mi schiaffeggia senza tregua. Non riesco a orientarmi nei giardini dell’affetto e non ho ancora idea di come si sfondino le porte dell’amore. La mia mano sinistra non può aiutarmi a comprendere le dinamiche più profonde della passione, ma ha la facoltà di consolarmi con la sua saggezza masturbatrice. I miei pensieri ruotano da molto tempo attorno a J. e ogni giorno confermano la mia incapacità di concretizzare ciò che nasce nel più alto strato dell’astrazione. Mi rendo conto di come per me sia indispensabile accettare l’eventualità che l’intimità dei miei bisogni e delle mie sensazioni possa non trovare uno sbocco durante l’arco della mia vita. Se fossi un sofista affermerei che è la natura a decidere durante la fase prenatale chi può vivere certe emozioni e chi può solo farsene un’idea con un cannocchiale opaco. Quella che ho appena scritto è una scusa comoda e fatalista alla quale non credo. Penso che i geni contino qualcosa nelle possibilità di raggiungere certe vette emozionali, ma penso che lo sforzo maggiore provenga dal carattere di un individuo e dal livello di trasparenza della sua coscienza. In questo preciso istante alcune persone stanno consumando le loro infatuazioni con sinergie erotiche e altre stanno confermando la stabilità granitica dei loro legami. Talvolta soggetti di ambo i sessi si lasciano cadere tra le braccia di malinconie longeve per sfuggire dalle rotture dei loro romanticismi. Mi piace leggere Kierkegaard, ma non voglio vivere la sua eterna adolescenza. Lascio la conclusione di queste righe a una citazione che mi accompagna da alcuni giorni: “Sapessi che dolore l’esistenza, che vede nero dove nero non ce n’è”.

Francesco

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