Tra i resti di un palazzo scoperchiato alcune modelle tisiche sfilano sopra una pedana infuocata e si lasciano stuprare dagli sguardi di uomini rozzi e villosi in preda ai fumi dell’alcol. Cani alati, ma incapaci di volare, sfoggiano la loro tremenda idrofobia con ringhi feroci. Una ragazza con un kimono strappato è intenta a nascondere i pochi averi nell’utero della sorella appena morta. I quartieri periferici della città sono flagellati dalle malattie mortali e dalla lotta per la sopravvivenza. Una madre con il seno prosciugato tenta di allattare il suo bambino con il sangue. Il grande fiume che scorre attraverso la città trasporta cadaveri, mobilia distrutta, carcasse di animali e folletti patogeni. I colori pacifici del cielo stridono con le chiazze plumbee del territorio urbano. Le persone combattono tra di loro fino alla morte per dei pezzi di pane raffermo. Le donne incinte vengono uccise senza remore e i feti finiscono sulle tavole di uomini asserviti al cannibalismo. I simboli e le pagine sacre delle antiche religioni alimentano fuochi notturni che illuminano le ombre dei carnefici e delle carneficine. L’essere umano vive di nuovo le sue origini con più violenza e ferocia, in attesa che il totale abbandono della ragione, che un tempo gli aveva conferito lo scettro del pianeta, lasci il posto all’estinzione della specie. I luoghi di culto sono stati trasformati in grandi discariche in cui si trovano le baracche di uomini in perenne lotta tra loro. Nel migliore dei casi i bambini crescono in mezzo alle fosse comuni e muoiono a causa di gravi epidemie. Scheletri romantici osservano gli ultimi tramonti dell’umanità senza proferire parola e dai loro teschi erosi si può ancora percepire la rassegnazione all’apocalisse.