Sono un po’ febbricitante, ma questo stato morboso non mi dispiace affatto. Da piccolo vedevo la febbre come una benedizione, perché mi permetteva di stare davanti alla televisione invece di sedere di fronte a una maestra acida. La mia carriera tra i banchi è terminata tre anni fa con un diploma insulso che è stato fortemente agevolato dai contrabbandieri dell’istruzione, ma questa piccola nota sul mio iter scolastico non c’entra un cazzo con quello che voglio scrivere. Sono felice e un po’ delirante. C’è una forma di vita che illumina il mio domani con la stessa discrezione di un vecchio lampione a gas. Il naso gocciola, la testa gira, ma una parte di me è immune dalla malattia e si esprime con chiarezza tra il caos delle mie idee. L’egemonia della mia serenità è indiscussa e forse espanderà i suoi confini attraverso territori emozionali che sono distanti anni luce dal mio aspetto senziente. Mio padre mi ha chiesto un’audizione, ma io pretendo diecimila euro in una ventiquattore per sedermi a un tavolo con lui e concedergli l’udienza di ‘sto cazzo. I soldi sono importanti e credo che sia giusto che i figli sanzionino gli errori dei genitori, così come ritengo che sia giusto che i padri pellegrini impongano embarghi sopra il cielo persiano. Il denaro è un bell’arnese, ma penso che non basti averne tanto per essere ricchi. In questo periodo non ho molti fondi a mia disposizione e per adesso non mi interessa averne. Le mie priorità hanno colori chiari che pigmentano un metro e settanta di europoide. Tra poco coccolerò il mio palato con qualcosa di buono e trascorrerò una giornata più leggera del solito tra realtà e pause di fantasia.
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