Qualche giorno fa ho letto un breve articolo sulla relazione tra stato d’animo e abilità cognitive. A seguito di alcuni esperimenti di neuroscienza certi cervelloni statunitensi hanno affermato che per avere la migliore prestazione mentale e la più efficiente attività cerebrale, occorre un connubio tra il proprio stato d’animo e il compito che ci si appresta a svolgere. Durante gli esperimenti che hanno portato a questa conclusione è stata registrata l’attività cerebrale di alcune persone alle quali sono stati mostrati dei video emozionanti. I risultati di questo studio hanno dimostrato che un’ansia moderata può davvero incrementare la prestazione di alcuni compiti, ma può complicare l’adempimento di altri. La stessa affermazione vale per uno stato d’animo piacevole. Questi dati confutano quell’idea diffusa secondo la quale uno stato d’animo negativo è sempre dannoso per la cognizione e (di)mostra che le attività e le prestazioni cerebrali sono il prodotto di una partecipazione in parti uguali degli stati emozionali e delle cognizioni. Mi è piaciuta molto una frase di Jeremy Gray: “I nostri risultati indicano che l’emozione non è un cittadino di seconda classe nel mondo del cervello”. Un’affermazione di Todd Braver mi ha fatto riflettere: “Crediamo che questo primo studio mostri le regioni del cervello che mediano le interazioni tra gli stati emozionali e le cognizioni”. Se una persona fosse in grado di comprendere ed equilibrare l’influenza delle sue emozioni su ogni attività quotidiana disporrebbe di un’arma in più per aumentare la qualità della propria vita. Su http://nootropics.com/mood/ si trova l’articolo in inglese con qualche dettaglio in più.
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