Un vecchio eremita muove le dita sopra un antico banjo e con abile tecnica lascia che le note di un motivo arcano esplodano in mezzo alle luci soffuse del suo eremo. L’ombra di un pentacolo si muove sopra un pentagramma mentre l’ombra di una esistenza muta continua a rimanere immobile di fronte al tempo. Le mie orecchie non hanno più spazio per la retorica delle favole di plastica. Contrabbando parole tra le sponde delle mie falangi e l’entroterra della mia intimità. Tento di dare sfumature criptiche a queste righe per deliziare le difficoltà legate al mio comprendonio. Alle volte mi sento un antiquario attempato che accatasta ricordi di scarso valore in una soffitta arredata con il buio e le ragnatele. Non mi piacciono gli esseri umani che emulano altri esseri umani. Penso che sia importante trarre ispirazione da altri bipedi senzienti, ma allo stesso tempo credo che sia nocivo clonare uno stile o modus vivendi che ha già visto il suo antesignano. Io per primo non potrei gareggiare a una corsa verso l’originalità, ma ritengo che assecondando le proprie inclinazioni sia possibile realizzarsi stilisticamente. Lo stile legato all’abbigliamento, agli starnuti, alle cacate sciolte, alla scrittura e alla gestualità. Penso che solo una mente debole e facilmente soggiogabile possa concordare con tutto ciò che ho appena scritto. Sono partito da un punto morto e ho continuato in discesa. Stanotte non capisco bene ciò che scrivo. C’è una stella fulminata nel mio firmamento: l’ennesima.
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