Alcune volte distorco il significato di certi avvenimenti e in questi casi mi trovo costretto a schivare i dardi avvelenati della interiorizzazione deviata di turno. Davanti a me vedo ancora delle barriere inibitorie da buttare giù con calci e urli. Voglio recidere la gigulare a uno sparuto gruppo di ostacoli tentacolari che tentano di attentare alla serenità assidua della mia esistenza alienante. Qualche mese fa pensavo che J. sarebbe entrata nella mia vita con la stessa grazia della bomba atomica su Hiroshima, ma alla fine è rimasta fuori dalla mia esistenza. Ogni tanto qualche comparsa appare brevemente sul mio palcoscenico. Per alcune persone gli anni cosidetti “d’oro” pesano come gli anni di piombo e mi piacerebbe essere in grado di elargire a costoro il mio modus operandi per alleggerire il carico esistenziale. Credo che ognuno debba trovare un modo personale per smaltire la propria zavorra. La mia fortuna mi inquieta e spero che io l’abbia già pagata in eventuali vite posteriori. Devo ancora andare a dormire, ma le mie parole sono lucide e non sono frutto della stanchezza che domina il mio cranio. Credo che il sonno sia una manna per le menti e i corpi agitati dalle scosse telluriche degli avvenimenti plumbei. Non riesco più a scrivere: il mio corpo reclama il suo diritto al riposo. Spero che il mio cuore non si fermi prima del dovuto. Saluto il giorno con il gesto di un veterano e mi avvio senza elmetto verso la mia alcova vuota. Tra dieci ore tornerò nella mia trincea in fiore.
Sto attendendo le prime luci del giorno in compagnia del soul di Luther Vandross. Sono adagiato su una comoda sedia di plastica e sorseggio aranciata amara in un bicchiere snello. Tra poco sintonizzerò il mio televisore su Canale 5 per guardare “Casa Keaton”, uno di quei celebri telefilm degli anni ottanta che adoro in modo infantile. Il primo terzo di agosto è trascorso quietamente e so che anche i restanti quattro sesti del mese fluiranno con calma e serenità. La mia pace interiore indossa un cappello di Panama e ama dondolarsi su un’amaca. Quando parlo da solo davanti allo specchio il mio interlocutore utilizza una loquacità eufonica. In parte mi è dispiaciuto che la sinergia tra statunitensi e britannici abbia impedito l’ennesimo spettacolo pirotecnico del terrorismo di matrice islamica. La mia affermazione è stupidamente spregiudicata, ma non riesco a negare il piacere voyeuristico che provo quando il mondo trema. Non sono un povero coglione che tenta di fare il bastian contrario, ma mi rendo conto che gli attentati di stampo fondamentalista ormai sono dei grandi spettacoli mediatici prima ancora di essere delle tragedie di proporzioni immani. Mi auguro che alcuni passaggi di questo post non mi facciano entrare nel mirino del SISMI. Merda, la mia aranciata è terminata. Per me è l’ora di piazzarmi davanti al televisore per guardare “Casa Keaton” e ciò che ha da offrire “Fuori Orario”.
La sposa tenta di raggiungere l’altare salendo una gradinata cosparsa di mine. Fanciulle dai visi scavati lanciano pezzi di cute umana dietro le loro spalle e attendono l’arrivo dello sposo. Il sacerdote è un uomo storpio che ghigna rumorosamente e aspetta l’inizio della cerimonia deglutendo gocce di whiskey. Sulle panche della chiesa siedono malati terminali e mercanti di anime. A distanza di milioni di chilometri un feto enorme fluttua nello spazio e il cordone ombelicale che lo lega alla sua stella di neutroni attraversa tre sistemi solari. In un remoto angolo della Terra un giovane eremita tenta di leggere il suo futuro negli astri, ma la sua arte divinatoria non è in grado di dare risultati soddisfacenti. La telecamera della mia immaginazione si sposta in territorio urbano per ruotare attorno al viso di uno sconosciuto. Egli è un aspirante kamikaze impegnato ad annotare i suoi propositi sulle pagine di un quaderno ingiallito dal tempo. Sogni ammalati e discorsi morbosi sono stipati negli spazi angusti della psiche. Danzatrici fluminensi vestono diademi di Gucci che hanno ricevuto in dono dalle mani adipose di obesi concupiscenti. Vermi e avvoltoi tentano di pulire i set di quelle guerre che non hanno sfondato al botteghino. In un ristorante per aspiranti suicidi chiamato “Ultima Cena” una ragazza vegetariana ordina una pietanza made in France: “Les Fleurs du Mal”. In questo momento una persona termina di riportare su carta virtuale le fotografie illogiche del suo immaginario estemporaneo.
Il buio rimbocca le coperte sgualcite della grande città e dà la buonanotte alla prudenza criminale. La polizia chiude i casi e le spogliarelliste aprono le gambe. Alcuni uomini loschi attraccano un’imbarcazione sospetta a un molo e si preparano a scaricare chilogrammi di drammi. Un sicario suda freddo nella stanza del suo hotel fatiscente e accarezza nervosamente la sua Beretta scarica. Egli tenta di ipnotizzare le lancette per uccidere l’attesa che lo separa dall’omicidio che gli è stato commissionato da un boss locale. Un manager saluta la famiglia ed è esce di casa per adempiere al suo ruolo di strangolatore part time. Donne suadenti e sensualità ibride governano i marciapiedi e gli atti di lussuria che si consumano in camere di lusso. Durante la notte spariscono le fedi dalle dita, le dita di alcuni uomini falliti spariscono sotto lo sguardo degli usurai, gli spacciatori spariscono tra i vicoli e i resti di chi ha sgarrato spariscono nella grande discarica che si trova fuori città. Una coppia di investigatori assonnati è appostata da ore davanti alla casa di un pregiudicato coinvolto nel traffico di MDMA. I baristi interpretano i gesti e gli sguardi dei picchiatori e delle peripatetiche. Un vecchio scommettitore consumato da anni di sbronze tenta di estorcere alcune soffiate sulle corse dei cavalli. Le insegne accecano la città e fanno brillare i tirapugni dei balordi. Tutto si muove in un silenzio rumoroso che fa urlare gli istinti e mette a tacere le coscienze.
NWA, ovvero i Niggaz With Attitude, i padri del gangsta rap che purtroppo hanno ispirato dei successori spesso ridicoli e incapaci. Nel gruppo i miei favoriti erano Dr. Dre, Ice Cube e Eazy E, infatti ho seguito anche le loro carriere soliste. Il video di “Straight Outta Compton” è un classico. Per molto tempo ho ascoltato i lavori di Eazy E (morto nel 1995 a causa dell’AIDS) e il disco dei suoi affiliati, ovvero BG Knocc Out e Dresta (che appaiono anche nel video di “Real Muthaphuckkin G’s”).
Sono ripetitivo come un professore in una classe di ripetenti e cazzeggio con la grazia di un cigno disoccupato. I miei legami non sono legati, non hanno vincoli, infatti sono liberi di assumere la forma che preferiscono. Ogni tanto una voce intestina mi suggerisce di coltivare certe relazioni con la stessa cura che il cartello di Medelin impiega per le proprie piantagioni di coca. Colleziono nomi e facce che spesso baratto con amnesie salutari. L’embargo della mia infanzia ha impedito alla mia pubescenza di importare vizi onerosi all’interno dei miei anni adolescenziali. Penso che la cioccolata bianca per adesso sia la cosa più appagante della mia vita, ma non ne mangio molta perché non voglio che il suo gusto scappi con un diabete improvviso e dispettoso. Il menisco sinistro mi fa un po’ male e lo inondo con del Voltaren Emulgel per alleviare le piccole sofferenze che mi provoca. Molti farmaci hanno dei nomi divertenti e alcuni alchimisti tossicodipendenti si dilettano a mischiarli per creare soluzioni narcotiche. Non ci vedo nulla di stupefacente negli stupefacenti, a eccezione delle operazioni della DEA e delle grandi quantità di denaro che girano attorno al mercato della droga. Preferisco il mio status quo allo status symbol dei grammi lisergici. Mi piace l’iconografia della malavita, ma purtroppo (o per fortuna) la realtà criminale differisce sostanzialmente da quella romanzata nei film e nei libri. Mi piacerebbe essere in grado di disegnare una granata che cade in un piatto di minestra. Le mie parole sono sconnesse e allo stesso tempo sono online.
È una mattina estatica. La luce solare trafigge alcune ragnatele in disuso e invita la mia testa di cazzo a volgersi verso le persiane semichiuse che capeggiano l’asimmetria della mia stanza. Accanto a me si trova una bottiglia di acqua oligominerale, mentre sopra il mio cerebro levitano fantasie rigogliose e realizzabili. Stamane il mio naso scoreggia e lascia che il rumore molesto degli starnuti rimbombi nel mio cranio. Sto tremendamente bene, ma non so perché sono ancora in piedi a quest’ora. Sono avvolto da una stanchezza piacevole e non posso fare a meno di grattare il mio cazzo atrofizzato. Ho voglia di mangiare qualcosa di buono che soddisfi il palato e non appesantisca lo stomaco. Mi piacerebbe gettarmi a letto con una flebo di cioccolata bianca. Mi disgusta la cioccolata fondente e spero di poterla lanciare contro la prossima persona che me la offrirà. Sono contento per le grandi entrate del fisco italiano e come sempre mi divertono gli inevitabili battibecchi sulla parternità di questo ottimo risultato. Non sono un sommelier, ma immagino che il gusto della finanza sia agrodolce e non è un caso che poc’anzi io abbia tirato in ballo la cioccolata. Mi chiedo se tutto l’entusiasmo che ruota attorno alle entrate del fisco sia un fuoco fatuo o il primo passo verso una buona ripresa economica. Spero che nel giro di qualche anno l’Italia possa gustare un nuovo boom economico con il quale incrementare il proprio arsenale di cellulari, loghi e suonerie.
Il centro di eugenetica Josef Mengele è situato in una zona imprecisata del deserto del Kalahari. Una squadra di teste di cuoio sorveglia i giacimenti di midollo osseo nei quali meduse meccaniche sguazzano con superbia. In una sala sotterranea un neurochirurgo esegue movimenti precisi ed esperti per aprire il cranio di un neonato su cui sperimentare l’ultimo parto della nanotecnologia. Ai piedi del tavolo anatomico si trova una cesta di metallo che contiene tutti i cadaveri degli infanti utilizzati dal neurochirurgo per i suoi esperimenti. In un’altra ala della struttura sotterranea avvengono test altrettanto folli. Ogni giorno cinque medici amanti della mitologia greca costringono delle donne inermi ad avere rapporti sessuali con molte specie animali per dare vita a satiri e centauri. Inizialmente erano sei i medici che seguivano questo inutile esperimento zoofilo, ma uno di essi fu freddato dopo pochi giorni perché reo di essere consapevole dell’impossibilità di un esito positivo. Molte scomparse hanno costellato questi laboratori dal retaggio nazista, ma nessuno ne ha mai saputo niente. Pare che le pratiche mediche siano accompagnate da pratiche esoteriche ispirate dalla cultura norrena. Nemmeno la Repubblica del Sudafrica, sul cui territorio è stata edificata questa fortezza della crudeltà, è a conoscenza di questo luogo in cui ogni diritto umano viene annullato per alimentare la cupidigia genetica.
Ieri ho visto la prima parte di “Near Death”, un documentario girato nel 1989 in un ospedale di Boston. Il film affronta le problematiche dei malati terminali documentando i dialoghi dei medici e delle famiglie. Ricorre spesso il tema dell’ineluttabilità della morte e porta con sé tutte le difficoltà della sua accettazione. In alcune sequenze “Near Death” mi è sembrato agghiacciante e mi ha portato a riflettere per l’ennesima volta sulla finitezza dell’uomo. Penso che sia importante pensare alla fine della vita senza intristire il presente. Credo che la religione abbia distorto il ruolo naturale della morte e le abbia conferito una sacralità terrificante e allo stesso tempo consolatoria. A volte mi vedo vecchio e intubato nel reparto di terapia intensiva, e immagino di contemplare la mia vicinanza all’ultimo respiro. Tutto questo può sembrare triste, ma in realtà è una presa di coscienza della ciclicità della vita. Ogni tanto mi confronto con questo tema per smantellare senza fretta le paure della morte, in modo che il decorso verso l’epitaffio non mi sorprenda all’improvviso. Non ho rassicurazioni mistiche con le quali sedare le mie paure e per me vi è solo una via naturalista per rapportarmi serenamente con il crepuscolo esistenziale. Il mio scopo precipuo è vivere bene, ma ogni tanto non nego di rammentare a me stesso l’avvento della mia morte che mi auguro sia lontano e indolore. Penso che il modo migliore per concludere questo post sia con una toccata di palle per esorcizzare popolarmente quanto ho scritto.
Talvolta mi trovo ad ascoltare opinioni incoerenti spacciate per assunti incontrovertibili. Non di rado oracoli improvvisati si adagiano su cattedre traballanti e iniziano a pontificare le loro stronzate. Preferisco la masturbazione a molti discorsi tedianti e prolissi. Non mi sono mai piaciute le seghe mentali ed è per questo motivo che ho conseguito una laurea con lode in onanismo. Esiste un’organizzazione paramilitare di burattini saccenti convinta che un lessico ricercato possa colmare le lacune legate alla difficoltà di elaborare un concetto semplice ed efficace. Per me il verbo diventa amorfo quando tenta di dare una forma a un concetto vuoto. Ho trovato nella noncuranza la cura per gli sproloqui tubercolotici che sovente sono vomitati da bipedi alla ricerca di una sicurezza lessicale. Con “noncuranza” non intendo l’astensione dal parlare di quello che sto sottintendendo da alcune righe a questa parte. La noncuranza è solo una delle facce della la mia clavis universalis che utilizzo per scansare stilemi sommari. Sono tornato da una lunga corsa e dopo questa ridda di parole mi sento pronto per una doccia e per una cena a base di kebab. Ho sudato molto nella fase crepuscolare di questo sabato torvo e adesso mi appresto a godermi il refrigerio che mi sono guadagnato con una fatica entusiasmante ed estenuante. Il mio ginocchio sinistro chiede pietà, mentre il resto del corpo attende con ansia la sua ricompensa calorica.