Sono comparse due afte sulla parte interna del mio labbro inferiore, ma per adesso non mi infastidiscono molto. È una bella giornata di sole, il cielo è pulito e il vento non rompe i coglioni. Mi piacerebbe andare al mare, ma senza patente e senza la possibilità di sforzare il ginocchio mi trovo costretto a restare in casa a grattarmi il pube. Neanche la prossima estate avrò la patente, ma ricorrerò a corse estenuanti pur di raggiungere le acque tirreniche per farmi qualche nuotata salutare. Da molto tempo ho in programma di partire dalla spiagga de “Le Viste” per raggiungere a nuoto l’isolotto che fronteggia il Monte Argentario. Non sono un nuotatore veloce, ma la mia non è una sfida a tempo e comunque la striscia d’acqua da percorrere per raggiungere il suddetto isolotto è più breve di quanto non sembri. Ho cercato un partner per queste quattro bracciate, ma pare che sia uno “sforzo” proibitivo per certa gente che non perde mai l’occasione di millantare grandi doti fisiche. Mi manca il sapore della salsedine misto alle acque di scolo. L’estate durerà ancora per un po’ ed è possibile che prima della sua fine io riesca a fare questa breve nuotata. Ho sempre desiderato raggiungere quel cazzo di isolotto e prima o poi conquisterò la sua “vetta”. Il mio unico timore è che un Johnson mi faccia a fette, ma penso che sia un rischio remoto e poi temo di più lo scarico di una pompa di sentina in faccia.
Vendita mefistofelica porta a porta
Pubblicato domenica 20 Agosto 2006 alle 10:57 da FrancescoBimbi, sapete che potete guadagnarvi la locandina del giornale locale? Deglutite alcolici e psicofarmaci, poi salite sopra i vostri carri funebri e andate a schiantarvi contromano sull’Aurelia. Già vedo ogni airbag macchiato dal sangue e dal midollo spinale. Rimarrete per sempre giovani nei ricordi evanescenti dei vostri familiari e dei vostri amici. Diventerete delle unità nella statistica degli incidenti stradali e il vostro nome figurerà per un paio di giorni sopra alcuni manifesti economici incollati su un muro scrostato del vostro comune. Pensateci bene, non è affatto male. D’altronde avete ancora pochi anni per sbizzarrirvi, poi il sole inizierà a calare anche sulle vostre teste e le tenebre del nirvana borghese ricopriranno le vostre vite fino all’ultimo respiro. Io non sono un oracolo, ma penso che molti di voi finiranno per scendere a patti con le proprie ambizioni e con il tempo accumuleranno frustrazione e rabbia repressa. Amici, io vi sto proponendo un affare macabro che non potete rifituare. Non ci vorrà molto: i fari vi accecheranno e voi perderete coscienza per sempre. Dopo alcuni minuti sopraggiungeranno le ambulanze e le volanti, ma non potranno fare nulla per rianimarvi. Al vostro funerale la verità sarà messa da parte e tutti gli avventori elogeranno qualità che in realtà non avete mai avuto. Forza, firmate questo contratto con il sangue e non ve ne pentirete.
I resti di una speranza dondolano lentamente sopra un’altalena arrugginita. Il sole è ricoperto da macchie tumorali e il cielo è dominato da nuvole porpora colme di tossine. In un asilo nido fatiscente i bambini usano il plutonio al posto del pongo. In questo scenario corrosivo le crisi polmonari sono all’ordine del giorno e le complicazioni renali sono altrettanto frequenti. I reparti di ostetricia sfornano aborti vivi e questa vasta produzione di morte che respira è dovuta ai veleni artificiali che aleggiano ad altezza d’uomo. In una piccola piazza una donna ricurva si osserva in uno specchio rotto e conta le ferite purulenti che adornano il suo viso appassito. Un cane è riverso sulla strada, la sua lingua violacea tocca un tombino pieno di mozziconi e sembra che nessuna forma di vita senziente si preoccupi della sua agonia. Le bilance pesano i drammi, gli orologi scandiscono il count down al contrario e le gocce di sudore sgretolano lo spirito. Non esiste più acqua potabile e per placare la sete la gente può solo depurare i liquidi tossici che l’organismo umano riesce a tollerare con più facilità. Sintomi irriconoscibili si avvicendano nei quadri clinici e stendono il tappeto rosso per l’ingresso di nuove malattie terminali che non lasciano spazio nemmeno all’utopia di una cura. Il significato di felicità è stato rimosso dalla lingua comune per evitare che autori anonimi fomentino speranze deleterie nella loro civiltà depressa.
Flagello schiere di inibizioni con tattiche di guerriglia composte dai miei pensieri e della mie azioni. Un esercito di scheletri mercenari combatte al soldo del malessere e spesso s’ingegna per disseminare trappole lungo il mio cammino. Non pratico il kendo, ma seguo ugualmente la via della spada. La mia lucidità mi permette di schivare i fendenti delle forme conturbanti e delle tentazioni cancerose. Duello frequentemente con la mia coscienza e talvolta riporto ferite profonde. Dilanio ogni aspettativa che cavalca verso la mia ombra e dopo ogni scontro mi abbevero alle fonti della memoria per impedire che la rimembranza dei miei errori perda lucentezza. Mi mancano ancora centinaia di fasciature, di agguati, di movenze marziali e di teste decapitate per raggiungere il primo gradino dell’ultima scalinata. Metto a ferro e fuoco ogni cosa che mi lascio alle spalle per evitare che l’arretramento seduca il mio passo. Sul dorso di animali da soma attraverso deserti biblici, strade di montagna, colline in fiore e campi di grano. Né le tormente né le tempeste di sabbia costituiscono la parte più difficile dello spostamento da un emisfero all’altro, infatti le avversità maggiori provengono dai momenti di silenzio illuminati da lune sadiche. Ho solo una katana e un po’ di esperienza per difendere i miei organi e la mia interiorità dalle lame avvelenate e dall’inquinamento morale. Presto orecchio alle profezie dei monaci anziani, ma non lascio che il folclore della loro arte divinatoria condizioni la mia ragione. Le mie forze si rigenerano sotto lo scroscio gelido di piccole cascate che echeggiano tra la flora di valli lontanissime.
Un boa arcobaleno e la morte del suo padrone
Pubblicato giovedì 17 Agosto 2006 alle 11:17 da FrancescoIl suono di sei corde si propaga in una stanza di legno che si trova immersa in una foresta pluviale senza nome. Tra le quattro pareti un vecchio morente medita in ginocchio sopra un tappeto persiano e lascia che un raggio di sole indiscreto illumini silenziosamente il suo cranio canuto. L’anziano ha gli occhi serrati ed esegue movimenti lenti con le braccia mentre in un angolo le spire del suo boa arcobaleno avvolgono la gamba di un tavolo. Il vento sospinge alcune foglie invernali contro l’unica finestra della stanza, le candele sulla menorah si consumano lentamente, l’incenso vizia l’aria e gli arazzi osservano ogni cosa senza mai abbassare lo sguardo. Le foto in bianco e nero sporgono cupamente dalle loro cornici d’argento ed emanano il fetore di un passato nauseabondo. Sopra una sedia di paglia giaciono abiti sbiaditi e logori. Il morente porta alla bocca le ultime cucchiaiate del suo declino e si prepara a riconciliarsi con la metempsicosi. Le cascate modulano il proprio rumore in base al respiro faticoso del vecchio e sembra che ogni movimento del creato sia orchestrato da Gea per omaggiare il morente con l’ultima sinfonia mai trascritta. Preghiere corali e rituali funebri compongono la liturgia di molte allucinazioni mistiche, ma quei procedimenti apparentemente sacri hanno il solo scopo di aiutare i vivi a sopportare l’idea della loro fine. Il distacco dalle funzioni vitali è una cerimonia individuale affidata al morente e nessun altro può officiare al suo posto. Sacerdoti, sciamani e sciami di familiari sono solo comparse inutili sull’ultimo palcoscenico dell’esistenza.
I carabinieri e il giustiziere della notte
Pubblicato mercoledì 16 Agosto 2006 alle 07:25 da FrancescoAttorno alle quattro della scorsa notte ho sentito dei rumori molesti provenire dalla strada, dopo pochi secondi mi sono affacciato alla finestra e ho visto un tipo che aveva appena lanciato una bottiglia di vetro contro un bar chiuso. Il tizio mi ha visto subito e mi ha detto: “Allora, problemi?”. Io gli risposto: “Io non ne ho e te?”. Alla fine questo giovane iroso è venuto sotto la mia finestra e abbiamo iniziato a parlare. Gli ho chiesto quale fosse il suo problema e mi ha risposto che era incazzato perché l’assessore alla cultura non gli aveva dato modo di parlare. Mi ha detto: “Solo doveri, doveri, doveri, niente diritti!”. Inoltre mi ha raccontato che il giorno prima una barista gli aveva negato un panino a tarda ora e che lui per tutta risposta l’aveva chiamata “stronzetta”. Poco dopo ha iniziato a parlarmi della sua visione del mondo e della necessità di una rivoluzione. Mi ha fatto sorridere una frase che ha proferito con molta foga: “E poi vedi Cannavaro che alza la coppa del mondo mentre i bambini muoiono di fame, io l’avrei buttata per terra quella coppa!”. Tra l’altro mi ha fatto ascoltare una sua strofa rap e non mi è sembrata brutta. Ho continuato la conversazione con questo tipo fino all’arrivo di una pattuglia dei carabinieri e, prima di andarsene per intrattenersi con le guardie, egli mi ha salutato dicendo: “Hasta la pace siempre fratello”. Mi ha fatto un po’ ridere questo sovversivo notturno che annovera al contempo Gandhi e Rambo tra i suoi miti.
Ho intravisto sorrisi smaglianti e completi bianchi al funerale di una giovane madre. I figli rimasti orfani sono stati presi in giro a lungo dai loro compagni di scuola: “Non avete più la madre perché l’ha ammazzata vostro padre”. In realtà la madre non è stata uccisa, ma è morta a causa di un carcinoma polmonare. Due giorni dopo il funerale il marito della deceduta ha spezzato le zampe al suo fox terrier e si è sparato in bocca. In uno scantinato ho scorto un ragazzo seduto su un divano in mezzo alla sua collezione di carogne composta da gatti avvelenati e topi squartati a colpi di mannaia. In un locale del quarto mondo ho visto di sfuggita il lento pellegrinaggio di uno scarafaggio sotto la mozzarella di una pizza margherita. Ho assistito a una rapina in una banca del seme: due zoccole a volto coperto hanno rubato lo sperma dei donatori per versarlo nelle pozze di fango e lapparlo senza requie. Alcuni passanti hanno lapidato un mendicante con centinaia di monete da cinquanta centesimi. Sulle spiagge dello Sri Lanka un surfista suicida ha pregato a lungo per avere la possibilità di cavalcare le onde mortali di un nuovo tsunami, ma le sue richieste metafisiche non sono state prese in considerazione. Alcuni iniziati hanno avuto la prova che Dio è ateo perché non crede in se stesso e lo hanno pregato di assumere del Prozac per superare il suo stato depressivo. Questa macabra carrellata è terminata con il volo crepuscolare di uno stormo di gabbiani in fiamme.
Indolenza monetaria e ricordi nosocomiali
Pubblicato lunedì 14 Agosto 2006 alle 03:13 da FrancescoHo un po’ di soldi da spendere, ma non so cosa comprare. In questo periodo non c’è nulla di tangibile che arrapi il mio lato consumista. Potrei recarmi all’ippodromo di Grosseto e “investire” il mio denaro nelle scommesse ippiche per ricavare un po’ di adrenalina, oppure potrei mettere piede nel Mezzogiorno e comprarmi la patente. Se fossi stato un filantropo avrei donato parte dei miei liquidi al primo stronzo per strada. Non posso usare le mie banconote per andare a puttane perché ho il pene troppo piccolo e provo una forte antipatia per le malattie veneree. Mi piacerebbe comprare un biglietto aereo per la Corea del Nord, ma il mio passaporto è scaduto e non ho voglia di aspettare intere settimane per il suo rinnovo. Alla fine utilizzerò i risparmi per costruire aeroplani di filigrana che planeranno sulle coperte del mio letto. Se avessi avuto il diabete avrei potuto fare incetta di insulina. L’ultima frase mi ha fatto venire in mente il mio tour ospedaliero. L’anno scorso ho fatto molti controlli medici per assecondare la mia fisima ipocondriaca e alla fine mi sono ritrovato con la seguente collezione di esperienze nosocomiali: un’anamnesi, tre analisi del sangue, un elettrocardiogramma, tre visite dermatologiche, un controllo ai reni, una rx toracica e quattro visite dal medico di base. Non avevo un cazzo. L’apatia ha amplificato i miei pensieri ipocondriaci e di conseguenza mi ha fatto vagare due settimane attraverso ambulatori lugubri e reparti ospedalieri. Più ci ripenso e più rido di me stesso. Sono davvero un coglione al quadrato.
Buckethead è un personaggio strambo e un artista eclettico. In questo momento sto ascoltando un suo disco uscito nel 2005. L’album si chiama “Electric Tears” e lo ritengo un lavoro sublime. Trovo che questo bizzarro chitarrista (che notai per la prima volta qualche anno fa nella nuova line up dei Guns N’ Roses) abbia un tocco eccezionale. Credo che “Electric Tears” sia un album molto intimo, nonostante sia tutto strumentale. “All In The Waiting”, “Pandmasana” (il pezzo del video), “The Way to Heaven”, “Baptism of Solitude” ed “Electric Tears” sono le mie tracce preferite, ma in realtà adoro tutta la tracklist. In questo disco Buckethead suona le sue melodie empatiche con le corde dell’anima. Devo ammettere che non mi piacciono tutti i suoi lavori, infatti grazie alla sua versatilità musicale ha realizzato progetti totalmente differenti da “Electric Tears” che purtroppo il mio orecchio non è ancora in grado di apprezzare.
Riflessioni notturne di poco conto si aggirano per il mio cerebro con un’andatura errabonda. È l’ennesima notte apatica in cui vecchie prospettive si incancreniscono per lasciare il loro posto vitale alla fioritura di nuove aspettative. Frasi ancora non pronunciate si preparano a tessere nuovi avvenimenti. Nel mio corpo scorrono liquidi analcolici. Sono lontano dai vizi che non ho mai avuto e dai visi che non ho mai incontrato. È difficile lasciarsi andare quando ci si trova in una capsula spaziale. Voglio sabotare il tempo per accelerare il suo battito cardiaco. La mia ombra è ancora lontana dai sentimenti di burro. La mia ricetta per la prossima ora: mangiare due uova al tegame con il pane, irrigare il fondo del cesso con dell’urina giallognola e poi sgrullare il mio pene. Adesso non ho voglia di rispondere alle mie domande inanimate. Forse più tardi prenderò in esame i miei interrogativi recenti e inizierò a stendere risposte articolate e soddisfacenti. Adoro la lucidità disarmante con la quale affronto il mio disorientamento in mezzo a queste parole. Corro nel labirinto semantico per divertirmi e non mi muovo al suo interno con l’intento di raggiungere l’uscita. Le parole sono davvero poca cosa. Qualche anno fa un tizio mi ha suggerito di seguire la mia vocazione, ma io non ce l’ho la vocazione e mi chiedo se questa mancanza ponga il mio essere al di fuori della corrente moda esistenziale.