I resti di una speranza dondolano lentamente sopra un’altalena arrugginita. Il sole è ricoperto da macchie tumorali e il cielo è dominato da nuvole porpora colme di tossine. In un asilo nido fatiscente i bambini usano il plutonio al posto del pongo. In questo scenario corrosivo le crisi polmonari sono all’ordine del giorno e le complicazioni renali sono altrettanto frequenti. I reparti di ostetricia sfornano aborti vivi e questa vasta produzione di morte che respira è dovuta ai veleni artificiali che aleggiano ad altezza d’uomo. In una piccola piazza una donna ricurva si osserva in uno specchio rotto e conta le ferite purulenti che adornano il suo viso appassito. Un cane è riverso sulla strada, la sua lingua violacea tocca un tombino pieno di mozziconi e sembra che nessuna forma di vita senziente si preoccupi della sua agonia. Le bilance pesano i drammi, gli orologi scandiscono il count down al contrario e le gocce di sudore sgretolano lo spirito. Non esiste più acqua potabile e per placare la sete la gente può solo depurare i liquidi tossici che l’organismo umano riesce a tollerare con più facilità. Sintomi irriconoscibili si avvicendano nei quadri clinici e stendono il tappeto rosso per l’ingresso di nuove malattie terminali che non lasciano spazio nemmeno all’utopia di una cura. Il significato di felicità è stato rimosso dalla lingua comune per evitare che autori anonimi fomentino speranze deleterie nella loro civiltà depressa.
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