Riflessioni notturne di poco conto si aggirano per il mio cerebro con un’andatura errabonda. È l’ennesima notte apatica in cui vecchie prospettive si incancreniscono per lasciare il loro posto vitale alla fioritura di nuove aspettative. Frasi ancora non pronunciate si preparano a tessere nuovi avvenimenti. Nel mio corpo scorrono liquidi analcolici. Sono lontano dai vizi che non ho mai avuto e dai visi che non ho mai incontrato. È difficile lasciarsi andare quando ci si trova in una capsula spaziale. Voglio sabotare il tempo per accelerare il suo battito cardiaco. La mia ombra è ancora lontana dai sentimenti di burro. La mia ricetta per la prossima ora: mangiare due uova al tegame con il pane, irrigare il fondo del cesso con dell’urina giallognola e poi sgrullare il mio pene. Adesso non ho voglia di rispondere alle mie domande inanimate. Forse più tardi prenderò in esame i miei interrogativi recenti e inizierò a stendere risposte articolate e soddisfacenti. Adoro la lucidità disarmante con la quale affronto il mio disorientamento in mezzo a queste parole. Corro nel labirinto semantico per divertirmi e non mi muovo al suo interno con l’intento di raggiungere l’uscita. Le parole sono davvero poca cosa. Qualche anno fa un tizio mi ha suggerito di seguire la mia vocazione, ma io non ce l’ho la vocazione e mi chiedo se questa mancanza ponga il mio essere al di fuori della corrente moda esistenziale.
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