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I fuochi d’artificio di Islamabad

Sto attendendo le prime luci del giorno in compagnia del soul di Luther Vandross. Sono adagiato su una comoda sedia di plastica e sorseggio aranciata amara in un bicchiere snello. Tra poco sintonizzerò il mio televisore su Canale 5 per guardare “Casa Keaton”, uno di quei celebri telefilm degli anni ottanta che adoro in modo infantile. Il primo terzo di agosto è trascorso quietamente e so che anche i restanti quattro sesti del mese fluiranno con calma e serenità. La mia pace interiore indossa un cappello di Panama e ama dondolarsi su un’amaca. Quando parlo da solo davanti allo specchio il mio interlocutore utilizza una loquacità eufonica. In parte mi è dispiaciuto che la sinergia tra statunitensi e britannici abbia impedito l’ennesimo spettacolo pirotecnico del terrorismo di matrice islamica. La mia affermazione è stupidamente spregiudicata, ma non riesco a negare il piacere voyeuristico che provo quando il mondo trema. Non sono un povero coglione che tenta di fare il bastian contrario, ma mi rendo conto che gli attentati di stampo fondamentalista ormai sono dei grandi spettacoli mediatici prima ancora di essere delle tragedie di proporzioni immani. Mi auguro che alcuni passaggi di questo post non mi facciano entrare nel mirino del SISMI. Merda, la mia aranciata è terminata. Per me è l’ora di piazzarmi davanti al televisore per guardare “Casa Keaton” e ciò che ha da offrire “Fuori Orario”.

Francesco

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