Repubblica.it ha invitato i suoi lettori a raccontare il primo ricordo della loro vita e io non mi sono sottratto a questa simpatica iniziativa con cui ieri sera sono riuscito a ingannare un po’ di tempo. Ho deciso di annotare anche su queste pagine virtuali il racconto del mio primo ricordo che si trova già in questa pagina al numero 384. “Non ho idea di quale sia il primo ricordo della mia vita, ma sul fondo delle mie memorie intravedo una reminiscenza un po’ oscura legata alla presa di coscienza della finitezza dell’uomo. Avevo cinque anni: mi ricordo le scenografie rudimentali delle trasmissioni televisive, la grande macchia sulla testa di Gorbaciov, certe merendine ormai scomparse dai peggiori scaffali dei discount di provincia e, in particolare, ricordo i primi timori legati alla morte. Ogni tanto osservavo mia madre e pensavo al giorno in cui avrei indossato una cravatta e un completo nero per regalarle un ultimo crisantemo; tutto questo mi spaventava e iniettava inquietudine e malessere nel primo lustro della mia vita. L’ansia del futuro e l’ombra della morte impregnavano di lacrime le mie notti e la consolazione religiosa propinata dagli adulti non riusciva ad attenuare le mie paure. Ricordo le mie manine sul cuscino, la mia testa sulle manine e un groppo alla gola che puntualmente premeva sul mio fragile Io”.
Conflitti interiori e internazionali
Pubblicato giovedì 13 Luglio 2006 alle 11:38 da FrancescoHo dormito solo tre ore, ho la gola secca, mi girano un po’ le palle e mi sento intontito. Stamane avrei dovuto cominciare di nuovo scuola guida, ma il mio istruttore ha preferito farmi attendere mezz’ora e rimandare le mie lezioni alla prossima settimana. Vorrei dare una sterzata alla mia vita, ma sono ancora alle prese con piccoli tentativi fallimentari. Il tempo mi sta sfuggendo di mano e sta inghiottendo lentamente la freschezza della mia età. Devo fare qualcosa per mutare il corso della mia esistenza, devo muovermi, ma non so in quale direzione né in che modo e non penso che qualcun altro possa darmi queste indicazioni. Forse devo attendere un colpo di genio, un colpo di coda o un colpo al cuore. Se fossi tremendamente cattivo direi a me stesso: “Francesco, devi attendere solo un colpo alla nuca”. Per mia fortuna sono un bravo ragazzo e mi risparmio certe uscite. La mia mente è già proiettata verso l’autunno e l’inverno: ho bisogno di guardare verso il futuro per alimentare la pochezza del mio presente. Sembra che d’estate gli israeliani e i libanesi non abbiamo di meglio da fare che colpirsi a vicenda con bombe e razzi Katyusha. I recenti bombardamenti sull’aeroporto di Beirut mi hanno ricordato un vecchio pezzo dei C.C.C.P. chiamato “Emilia Paranoica”. Le tensioni mediorientali durano da molti decenni e forse con il tempo le grandi manovre degli esereciti regolari e delle formazioni paramilitari diventeranno un’attrazione turistica. A proposito di atteggiamenti belligeranti: pare che in questo periodo anche la Corea del Nord soffra d’isterismo.
Regina Spektor è una pianista di ventisei anni nata in Russia e cresciuta nel Bronx. In un primo momento ho pensato che la sua produzione artisitica si riducesse alle classiche costruzioni easy listening che popolano le classifiche, solo in un secondo tempo ho compreso che “Begin to Hope”, il suo ultimo album, trascende il pop ed è impregnato di sonorità eterogenee. Regina Spektor è un’esponente dell’anti-folk, un genere musicale che ha le sue radici nel punk, ma che a differenza di quest’ultimo si avvale di un suono più leggero e di testi più ponderati. “Fidelity” è la mia traccia preferita tra i dodici pezzi che compongono “Begin to Hope” e ho avuto la fortuna di scovare questo video in cui la Spektor la esegue dal vivo.
L’altro ieri, tutt’a un tratto, ho notato una luce blu intermittente su una parete della mia stanza e dopo averla fissata per alcuni secondi mi sono alzato e mi sono affacciato alla finestra. Nella strada di fronte alla mia casa si trovava un’ambulanza con lo sportello aperto e appena l’ho scorta ho pensato subito di armarmi di macchina fotografica per immortalare il mezzo di soccorso. Mi piace la foto che ho fatto, ma non ne conosco ancora i motivi. Forse questa fotografia, che tra l’altro ho scattato in modo totalmente amatoriale, rappresenta uno squarcio di quel sapore urbano che ho assaggiato di frequente nelle grandi metropoli. Penso che le persiane socchiuse rappresentino gli occhi indiscreti che osservano le tragedie altrui e che spesso ostentano una finta indifferenza. L’oscurità delle persiane può significare la volontà di un singolo individuo di mettersi da parte per lasciare che i riflettori dell’attenzione siano puntati esclusivamente sull’evento che attira il voyeurismo collettivo. L’interno dell’ambulanza non è stato immortalato per caso e credo che esso simboleggi la morbosità con la quale talvolta l’individuo si dedica alle vicende altrui, specialmente quando esse hanno fattezze tragiche o grottesche. Credo la mia interpretazione della foto che ho scattato sia per me solo un modo per improvvisare una chiave di lettura scontata. O forse no? Non voglio salire su un’ambulanza, a meno che non debba rubarla per girare il mondo a sirene spiegate.
Due ritornelli si sono incastrati nel mio cranio. Il primo è quello di “Just A Though” degli Gnarls Barkley, un duo composto da Cee-Lo e Danger Mouse: “Well I’ve tried everything but suicide, but it’s crossed my mind”. Il secondo è il ritornello di “Beautiful Struggle” di Talib Kweli, un pezzo un po’ datato che ascolto spesso: “The revolution’s here, no one can lead you off your path, you’ll try to change the world, so please excuse me while I laugh, no one can change your ways, no one can lead you off your path, you’ll try to change the world, so please excuse me while I laugh”. In questi lazy days le casse e il subwoofer mi fanno più compagnia del solito e riproducono incessantemente alcuni pezzi che vanno a braccetto con il mio mood: “Incarcerated Minds” di MJG, “Divine Design” di Jeru The Damaja, “No More” di Sticky Fingaz e “Stay Chiseled” di Large Professor e Nas. Ho corso molto negli ultimi sette giorni e le mie gambe ne hanno risentito. L’afa mi perseguita, non so come divertirmi e per questo motivo continuo a condire le mie giornate con l’ozio e la noia, ma penso che prima o poi mi verrà qualcosa in mente per estraniarmi dal mio stato solipsistico: insomma, sono sempre fiducioso. Ho poche parole da scrivere, sono a corto di spunti e non ho un exploit con il quale porre rimedio a questa penuria di frasi. I giornali hanno riportato la notizia della morte di Syd Barrett, ma a me importa poco: non mi sono mai piaciuti i Pink Floyd. Sono affamato, ma non mi va di mangiare.
Ieri sera l’Italia non ha vinto un cazzo, il vero campione è stato Zidane. Zizou ha umiliato l’undici azzurro con la superba esecuzione del calcio di rigore e ha dimostrato di possedere due coglioni grandi come due palloni aerostatici: tutto il resto è noia. Complimenti agli italiani per l’affermazione della loro mediocrità. Non male per una succursale del Vaticano. Ricorderò il nove luglio appena passato come l’addio al calcio di Zinédine Yazid Zidane nel migliore dei modi. Penso che la testata del capitano francese contro Materazzi sia stata applaudita in più di una banlieue. Ancora una volta mi fa ribrezzo la nazione che mi ha dato i natali e sulle note della Marsigliese non mi resta che scrivere “Vive la France”.
Valencia: tra laicità e retorica papale
Pubblicato domenica 9 Luglio 2006 alle 04:37 da FrancescoQuel pacioccone di Joseph Ratzinger si è recato in Spagna per incontrare i vertici politici del paese iberico e per assopire i fedeli con la sua tediante liturgia made in Vatican. Ammiro Zapatero per la sua decisione di non partecipare alla messa del papa e penso che in questa occasione il premier spagnolo abbia confermato la laicità del suo paese. Pare che il portavoce del Vaticano Joaquin Navarro-Valls sia rimasto un po’ turbato dalla scelta di Zapatero e ha affermato che in passato persino Castro, Jaruzelski e Ortega hanno partecipato alle messe che il papa ha tenuto nei loro paesi durante le loro dittature: evidentemente Zapatero non è un ipocrita né un dittatore e altrettanto evidentemente il Vaticano non riesce ad accettare la mancanza di queste virtù nel premier spagnolo. Il pontefice ha affermato quanto segue: “La famiglia è l’ambito privilegiato dove ogni persona impara a dare e ricevere amore”. Mi chiedo: Ratzinger s’ispira al Nuovo Testamento o trova i suoi spunti nelle avventure di Pimpa? Molti incensano ogni singola banalità che fuoriesce dalla bocca del papa di turno e trovo che questo sia disarmante. Il vecchio Joseph forse prova nostalgia per la gioventù hitleriana di cui ha fatto parte, infatti le parole che seguono sembrano adatte a un seguace dell’eugenetica nazista: “È secondo la natura dell’uomo che l’uomo e la donna sono ordinati per dare futuro all’umanità”. Penso che quasi tutti sappiano che i maschi non posso partorire e che due donne non possono ingravidarsi a vicenda, e non credo che occorra un teologo tedesco per sottolineare l’ovvietà di questi fatti.
L’avvento di Internet nella società ha cambiato il modo di comunicare e ha permesso a molte persone di costruirsi un alter ego virtuale. In rete ho “incontrato” gente di ogni tipo: rari interlocutori con i quali dialogare saltuariamente, personaggi apparentemente strambi con la fissazione di appagare la loro parafilia, depressi cronici e pseudointellettuali. Non basta una connessione per diventare un’altra persona, ma può essere sufficiente per illudersi del contrario. Trovo che le comunicazioni in rete siano molto asettiche e alle volte colme di fraintendimenti, ma penso che un buon feeling tra gli utenti e un uso adeguato della lingua possano compensare la mancanza di intonazione e l’assenza dei gesti che di solito accompagnano le parole. I gesti e la voce possono essere riprodotti tramite una semplice webcam e un microfono economico, ma io credo che questi strumenti alla portata di tutti siano solo un surrogato per la classica interazione vis-à-vis. Penso che la funzione sociale di Internet sia quella di offrire un modo diverso di comunicare, più veloce e facilmente accessibile per tutti, e non di sostituire la realtà come credono taluni e come purtroppo fanno credere talaltri. Non mi piace l’anonimato ed è per questo motivo che ho messo il mio nome e le mie fotografie in queste pagine virtuali. Navigando in rete spesso mi sono imbattuto in blog e siti colmi di confessioni, ma tra quelle righe così intime non ho mai trovato il viso dell’autore. Per me non è un problema accostare le mie foto alle mie difficoltà sessuali e ad altri aspetti della mia intimità, sono in grado di parlare di me stesso con chiunque nella vita di tutti i giorni e credo che la facilità di mostrarmi per quello che sono derivi dalla mia mancanza di inibizioni.
Alle volte rimango allibito dalla facilità con la quale certe persone si lasciano ingannare dagli eventi. Mi riferisco a coloro che crogiolano la loro vita sulle fiamme del passato a causa di un’occasione mancata o di una persona persa. Credo che i fallimenti di un individuo non debbano ammorbare le occasioni future della sua vita. Talvolta leggo le storie di persone che hanno difficoltà a superare la fine di una relazione sentimentale e nelle parole di costoro spesso noto uno sconforto prevedibile e omogeneo. Penso che sia relativamente semplice superare la conclusione di un amore o di una semplice infatuazione, a patto che si legga correttamente la rottura del legame. Alle volte si tende a valorizzare eccessivamente una persona e questa sopravvalutazione spesso è dovuta alla proiezione di elementi positivi nella persona desiderata dalla quale poi può risultare difficile allontanarsi. Insomma, ogni tanto si crede di amare una persona per ciò che si vede in essa e non per ciò che essa è realmente. Alle volte l’emotività non permette di osservare con lucidità le azioni delle propria vita ed è per questo motivo che credo serva la rara capacità di trascendere temporaneamente le emozioni per salvaguardare la loro veridicità. La storia ha dimostrato che ogni persona, qualunque sia la sua condizione fisica e sociale, ha un discreto numero di possibilità di congiungersi con altri individui. Penso che il vero amore sia quello che funzioni nel tempo senza il sostegno dell’abitudine, mentre non vedo nessuna sfumatura romantica nelle relazioni che si interrompono. La mia visione può sembrare un po’ fredda, ma io trovo che non lo sia. Ho notato che alcune volte taluni tendono a dipingere con trasporto solo il concetto di amore e non la sua concretezza, come se questo sentimento fosse un mito da custodire lontano dalla realtà. Le genti non dovrebbero lasciarsi gabbare dai loro fallimenti: l’amore impregna il mondo come tanti altri fenomeni, ma non può superare l’impermeablità della disillusione di chi lo nega con ingenuità a causa della proprie esperienze negative. Finora non ho mai avuto legami affettivi, ma ho la presunzione di credere che tutto ciò che ho scritto sia corretto. So di essere parzialmente ripetitivo, ma penso che ogni tanto mi faccia bene impastare le mie idee con il presente per confermarne la validità personale.
Ieri sera ho visto “Cielo d’Ottobre”, un film del 1999 ambientato negli anni cinquanta, durante l’inizio della conquista spaziale. Il protagonista del film è un ragazzo di nome Homer Hickam che si appassiona alla progettazione di razzi dopo l’annuncio del lancio dello Sputnik. Homer Hickam non è un personaggio di fantasia, infatti il film è basato su una storia vera raccontata in un libro dello stesso Hickman intitolato “Rocket Boys”. Assieme a Homer ci sono altri tre ragazzi che prendono parte alla costruzione dei primi razzi tra gli sberleffi dei compagni, l’opposizione dei genitori e le difficoltà di assemblaggio. I fatti si svolgono sullo sfondo cupo di Coalwood, un piccolo paese del West Virginia la cui economia è basata sulla miniera di carbone gestita dal padre di Homer. Durante i centocinquanta minuti del fllm compaiono più volte due figure antitetiche: quella del padre di Homer, il quale desidera che il figlio segua i suoi passi nella miniera, e quella dell’insegnante che sprona i suoi quattro alunni affiché partecipino al concorso di scienze che alla fine sottrarrà le loro vite al lavoro in miniera. Attorno alla passione del giovane Homer e dei suoi amici gravitano conflitti familiari, amori adolescenziali, equazioni e piccoli drammi di paese. Ho trovato un po’ di sana banalità in “October Sky”, ma credo che essa sia giustificata dato che il film non è altro che la trasposizione cinematografica di una vicenda accudata realmente. Una pellicola piacevole, coinvolgente, a tratti emozionante e senza momenti bassi: queste sono le mie impressioni.