Ricorro allo sforzo fisico per aiutare la mia pische quando essa si trova in difficoltà . Credo che il sudore sia un detergente efficace per rimuovere le macchie dell’anima. Mi riferisco all’anima junghiana, ovvero alla parte interiore della personalità , e non all’anima nella sua accezione religiosa. Corro per sputare fuori quello che io chiamo “il pneuma negativo che avvolge la realtà individuale”. La fatica volontaria mi ha sempre pagato con dobloni di benessere e spesso mi ha aiutato a sostenere difficoltà intangibili. Mi sento bene quando le ghiandole sudoripare piangono e le articolazioni si muovono in armonia. Penso che sia importante macinare chilometri per allontanarsi dalle nubi che talvolta imprigionano l’esistenza in una morsa feroce. La volontà non è sempre disposta a fornire le energie necessarie per mettere in funzione gli ingranaggi del corpo e ritengo che in queste occasioni occorra combattere con essa per evitare che le catene dell’inerzia abbiano la meglio. Ho una voglia di vivere che travalica le mie attuali possibilità e per adesso non mi resta che correre. Mi auguro che un giorno le mie energie possano muovere qualcosa in grado di giovare alla mia esistenza. In questo momento “Heavy Mental” di Killah Priest allieta il mio udito: “And religion is like a prison for the seekers of wisdom”. So true. Tra poco uscirò di casa, camminerò per meno di un chilometro e poi inizierò a correre verso la mia meta rurale. Voglio che il mio battito cardiaco esegua antichi ritmi tribali e che il bagno di sudore mi permetta di osservare il replay della cosmogonia. Sono consapevole dell’inutile ampollosità delle mie parole, ma non me ne curo.