Un campetto di cemento, un pallone un po’ sgonfio e della gente semplice con cui giocare: credo che questa sia la formula del mio divertimento. Potrei spendere tutta la vita a rincorrere una palla nell’angolo più remoto del mondo. Il calcio per me ha sempre rappresentato una serie di geometrie ed equilibri in grado di appagarmi. Mi piace palleggiare, mi piace tirare, mi piace passare e mi sento ancora uno studente delle medie quando mi coordino correttamente per eseguire uno stop o un passaggio. Da piccolo ho giocato poco con gli altri, infatti ho trascorso molti dei miei pomeriggi a scavalcare sedie e piante con pallonetti e a eseguire cross millimetrici per le pareti. Penso che lo spirito di aggregazione dello sport, e nella fattispecie del calcio, sia qualcosa di meraviglioso. Mi piacciono le bestemmie che accompagnano le azioni andate male, i gesti concitati che chiedono un passaggio filtrante e le vecchie che imprecano contro il rumore dell’anonima partitella di provincia su un campetto adibito solitamente ad altri scopi. Ho giocato con persone mai viste in sere poco illuminate e in mezzo a spazi simili a giungle vietnamite, ma sono riuscito a divertirmi come poche altre volte nella vita. Forse è il mio stato solipsistico che enfatizza eccessivamente il mio gradimento per questo sport nazionalpopolare, ma dubito che potrei sentirmi appagato allo stesso modo giocando a cricket o a bocce. Ho voglia di correre, di sudare e di tirare. Forse mi basta troppo poco per essere contento.
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