Anche oggi le parole crogiolano al sole e ricoprono di controsensi i significati delle espressioni umane. La mia vita mantiene il solito passo, nel solito posto senza presupposti di sorta. Le giornate sono sempre più calde e sempre più lente. Il mio corpo è completamente privo di ambrozzatura; sembro quasi un malato terminale. Ieri pomeriggio ho corso molto e a causa dello sforzo ho avuto due crampi terribili ai polpacci. Il sudore e il dolore sono componenti basali per ingannare il tempo con l’illusione dello stoicismo. Ieri notte mi trovavo sulla via di casa dopo un breve giro a vuoto compiuto in solitaria, e a un tratto un tipo mi ha gridato qualcosa dalla sua auto e io gli ho risposto con forza: “Rotto in culo!”. Forse il tipo alla guida era un ragazzo ubriaco in preda alla stessa goliardia che io esercito da lucido; per un attimo ho pensato che l’auto sarebbe tornata verso di me in retromarcia e che io mi sarei ritrovato ad attentare alla vita di qualcuno per salvaguardare la mia. Mi sarebbe piaciuto fare a botte e constatare la mia capacità di difendermi a mani nude o con armi bianche. So che la propensione alla violenza è un atteggiamento stupido, ma talvolta dalla mia noia erutta una voglia deleteria di confrontarmi che tenta di prevalere sulla mia ragione. Non ho mai avuto motivo per venire alle mani e forse questa mancanza di confidenza con le percosse infastidice il mio lato animale. Ho contuso un po’ di persone con le parole, ma mai con un collo di bottiglia o con un’asta di ferro arrugginito.
Lo slap di Marcus Miller riesce sempre a farmi orgasmare. Un tempo associavo il basso alle dita di Jaco Pastorius, ma il defunto membro dei Weather Report non mi è mai piaciuto. Ci sono altri due bassisti jazz che mi aggradano e sono Victor Wooten e Stanley Clarke; di quest’ultimo sto ascoltando molto “School Days”, un album del 1976.
Cerco sempre di stare alla larga dai pregiudizi e dalla seriosità. Mi sento ridicolo quando leggo i melodrammi delle persone e ogni volta mi riprometto di non lasciarmi andare a comportamenti depressivi nei quali sovente scorgo una comicità pusillanime. Credo che uno dei miei difetti maggiori sia la propensione a pensare al futuro. Devo sradicare le mie aspirazioni chiaroveggenti. Mi stanco inutilmente quando penso all’avvenire e rimango con poche forze per apprezzare la bellezza concreta e costante del presente. Gli assoli fusion di Frank Gambale accompagnano le mie parole mattutine. Penso che spesso i comportamenti saccenti e arroganti degli altri nascano dalle insicurezze e dalle delusioni. Sono accondiscendente con chi reputo immeritevole di uno scambio verbale, in altre parole assecondo le persone grette come se avessero dei disturbi psichici. Quando l’idiota di turno cerca di convincermi, con una dialettica scialba e ragionamenti capziosi, dell’inferiorità della donna, io so che egli argomenta la sua pochezza a causa di una delusione sentimentale, perciò assecondo il succitato minchione con l’unico scopo di deriderlo. Alle volte la mia derisione è esplicita, altre volte no. Le persone più umili non dovrebbero farsi ingannare da quelle dialetticamente più intraprendenti. Ho notato che spesso chi ostenta presunte conoscenze in realtà ha grosse lacune e poche cose da dire. Vorrei che nessuno si facesse gabbare dai sofismi: la cultura non è sinonimo di intelligenza, così come la ragione non sta necessariamente dalla parte di chi esercita una buona retorica.
“So What” eseguita da Miles Davis e John Coltrane in una ripresa di quasi cinquant’anni fa. Due jazzisti immortali di cui devo ancora ascoltare molte cose. Miles Davis mi ha accompagnato durante l’inverno con “Round About Midnight”, “In A Silent Way” e “Bitches Brew”.
Sono vivo e assonnato. La giornata per me non si prospetta particolarmente diversa dalle altre. Cammino per la stanza, non mi va di stare seduto e quando mi viene in mente qualcosa da scrivere mi avvicino alla tastiera e lascio che le dita eseguano gli ordini del cervelletto. La mia vita è scandita da un ritmo nichilista e inconcludente, ma fortunatamente essa non è schiava dei vizi deleteri che demoralizzano molti dei miei simili. A distanza di anni non ho ancora incontrato un’ambizione, un’aspirazione, un obiettivo, una meta. Non penso che la vita debba essere preparata a tavolino, ma credo che sia costruttivo prefiggersi dei traguardi da raggiungere. Non voglio lavorare solo per dare una parvenza di normalità alla mia vita o per guadagnare denaro che non mi occorre, non voglio studiare cose che non mi ispirano e verso le quali non nutro interesse, non voglio stare con una donna solo per i miei bisogni fisiologici. Non cerco una ragione per vivere, ma solo esperienze positive che mi permettano di abbandonare queste elucubrazioni. Di tanto in tanto la pantofobia invade la mia psiche, ma il suo passaggio saltuario non lascia mai conseguenze. Sotto la mia finestra un vecchio ha appena terminato di dare indicazioni a una cameriera su come votare per il referendum costituzionale. Non me ne fotte un cazzo del federalismo, delle minacce d’insurrezione della Lega Nord o dell’appello dei sostenitori del no. Sono un qualunquista, perciò non raccoglierò l’invito di Giorgio Napolitano: fa troppo caldo per chiudersi in una cabina elettorale.
Mi trovo all’interno di una vecchia scuola abbandonata. Il vento gonfia le tende dei corridoi, sbatte le finestre con veemenza e trascina petali primaverili sul pavimento. Sotto alcuni banchi ci sono libri di storia fermi ai fatti di vent’anni fa: questo istituto è molto vecchio. Le carte geografiche presenti nelle aule mostrano ancora l’URSS. I cessi sono distrutti, i lavandini sono divelti e gli unici superstiti dei bagni sono le dichiarazioni di infatuazione scritte con i pennarelli e le figurine dei calciatori attaccate sulle porte. Il vissuto dell’istituto mi è chiaro. In questo luogo hanno transitato professori frustrati e soli, diciassettenni incinte, ragazzini con il mito di Van Basten, studenti introversi e bidelli perversi. La campanella ha annunciato spesso l’inizo delle lezioni e alcune volte il suo suono ha scoccato l’ultimo decibel dell’innocenza. Una gomma da masticare essiccata è il compendio di più generazioni. Mutano le temperature, cambiano i volti dello star system, ma le paure del futuro e gli affanni del presente hanno sempre le stesse caratteristiche durante il transito adolescenziale. Ieri foglietti e passaparola, oggi cellulari e computer palmari: il modo di comunicare ha cambiato forma e si è raffinato, ma le trasmissioni sono ancora interrotte. All’appello mancano sempre il dialogo e la comprensione e molti nomi sul registro di classe sono trincerati nella loro solitudine invisibile. Il sistema scolastico si è sempre avvalso di strumenti divinatori come le pagelle e le note disciplinari per delineare la vita dei propri subordinati. La mia fantasia vede un giullare che presiede l’esame di coscienza di un uomo: l’esaminando suda e risponde alle domande mentre spinge un revolver contro la sua tempia.
Stamane ho visto questo film del 1992. Il protagonista è un poliziotto corrotto che si droga tra una scommessa persa e l’altra. C’è una scena che mi ha colpito in modo particolare: a un tratto il protagonista si affaccia al finestrino di un’auto con due ragazze a bordo e chiede loro i documenti. Le due non hanno né la patente né il libretto di circolazione: il tenente tira fuori il suo uccello, ordina alla conducente di mostrargli come succhia il cazzo e si masturba mentre la guarda. In un’altra scena, a mio avviso stupenda, il protagonista sniffa una riga di cocaina preparata sulle foto di famiglia.
I quasi cento minuti del film sono inframmezzati dalla finale di baseball tra i Mets e i Dodgers sulla quale il tenente punta e perde molto denaro. La storia decolla quando due ragazzi stuprano una suora e il tenente si ritrova a investigare sul caso. La sorella conosce i volti e i nomi dei suoi violentatori, ma non vuole rivelare ciò che sa perché la sua morale le permette solo di pregare e perdonare. “Bad Lieutenant” ruota attorno alla descrizione della dissolutezza e del degrado, ma il finale, che non svelo, riserva un messaggio di redenzione di matrice cristiana. A tratti il film mi è parso un po’ lento, tuttavia mi ha lasciato delle impressioni positive e forse lo riguarderò per cogliere aspetti che mi sono sfuggiti.
Il mio corpo è sotto stress a causa delle poche ore di sonno e degli esercizi fisici. È comparsa un’afta sulla mia gengiva che credo sia la prova più evidente della mia prostrazione. Mi sono alzato alle undici di sera e penso che resterò in piedi almeno fino alle sei di pomeriggio. Sono sereno nonostante la spossatezza si sia impadronita delle mie articolazioni. Tra circa dodici ore andrò a scuola guida per prendere il mio nuovo foglio rosa, sempre che sia arrivato. J. è ancora nella mia mente, ma accanto a lei ci sono alcuni punti interrogativi. J. è una persona buona, una ragazza sensibile che non disprezza l’autoironia, ma non mi sento molto emozionato quando penso a lei. Mi chiedo se le mie emozioni si siano atrofizzate o se siano semplicemente in ferie. Non mi avvicinerò a J. fino a quando non avrò decriptato i segnali della mia sfera affettiva. Alle volte la cupidigia velocizza il cronometro delle scelte, ma l’accelerazione delle lancette è solo un’illusione che può portare a decisioni avventate. Non voglio infatuarmi o provocare illusioni e per questo motivo desidero che la ragione e il sentimento vadano di pari passo. Credo che in certi casi della vita si possano compiere scelte dettate solo dal cuore o costruite unicamente dal senno, ma ritengo che nel caso di un rapporto d’amore occorra sia l’approvazione del raziocinio che della passione per salvaguardare l’integrità mentale e l’autenticità dei sentimenti. Non sono così ingenuo da credere che si possano sempre armonizzare gli impeti delle emozioni con i risultati dei ragionamenti, ma sono abbastanza narcisista da apprezzare ciò che ho scritto finora.
Pomeriggio d’estate un po’ nuvoloso
Pubblicato domenica 18 Giugno 2006 alle 11:27 da FrancescoÈ un pomeriggio d’estate un po’ nuvoloso. Un uomo è seduto al tavolino di un bar, osserva il vuoto e riempie la sua bocca con cucchiaiate di conoscenza. Dalla parte opposta della strada c’è un vecchio nero che raccoglie giornali mentre attende che il sonno lo costringa ad adagiarsi sopra una panchina. Una ragazza madre in canottiera guarda fuori dalla finestra del proprio appartamento, il colpo d’occhio le permette di pensare con più malinconia alle prime stagioni della sua vita. Per le strade del globo terrestre si aggirano miliardi di orfani accuditi da altri orfani. Un Pierre qualsiasi avverte la mancanza del bagno occupato dai suoi familiari, la mancanza degli odori provenienti dalla cucina che di solito annunciano la cena preparata da una madre o da una moglie, la mancanza delle vacanze stressanti e la mancanza dei fine settimana dai genitori di lei. Negli alveari popolari rimbombano violenti i rapidi passaggi di coloro che hanno barattato la propria anima per una moto. Una signora facoltosa non ama la felicità perpetua e per questo motivo assume regolarmente pillole di malinconia sintetizzata. Piccole croci di pneuma sporgono da tutte le schiene. Da queste parti c’è uno scrittore che non riesce a vivere senza fatica e frustrazione: lui scrive romanzi con il lapis e subito dopo averli completati e corretti li cancella con una gomma economica. È solo un altro pomeriggio d’estate un po’ nuvoloso.
Mi sono alzato alle diciotto e trenta. Ho dormito bene, ma sono ancora un po’ rincoglionito. Questo sabato non ha nulla da offrirmi, ma questa è una consuetudine e non un’eccezione. Sul tavolo della cucina si trovano una lattina di Coca-Cola e un po’ di carne fredda che non riscalderò. Ieri sera una conoscenza femminile di vecchia data mi ha fatto uno squillo sul cellulare e mi ha chiesto di chiamarla. Ho parlato con lei per un po’: mi ha raccontato che si è trovata a un passo dal matrimonio e che poi è andato tutto a puttane. Costei parlava del suo ex mettendo gli accenti sul conto in banca che lui le avrebbe aperto e sull’auto che si apprestavano ad acquistare. Penso che questa ragazza di vent’anni sia una troia nell’anima, una persona poco raccomandabile e incapace di argomentare le sue inezie. Quando sento storie d’interesse spacciate per grandi passioni mi compiaccio di avere ventidue anni e di non sapere cosa sia un bacio. Durante la telefonata questa tipa ha tentato di convincermi che la gelosia e la possessività sono sinonimi di passione, ma questo per me non è affatto vero. Credo che lei volesse adescarmi a seguito del suo fallimento. Ieri sera la mia lingua l’ha fatta incazzare e l’ha costretta ad attaccare; tutto ciò ha provocato in me risate e tripudio. Lo ripeto per l’ennessima volta: per me le parole non hanno peso se non sono seguite dai fatti. Un’appendice degna della peggiore commedia all’italiana: lui ha mentito sulla sua età fino a quando lei non ha visto la sua carta d’identità. Stasera guarderò la partita tra Italia e Stati Uniti insieme alla mia ombra ed entrambi tiferemo per gli yankees. Spero vivamente che la nazionale italiana perda in modo che tutte le attenzioni siano concentrate sulla corruzione sportiva.