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Povera patria

Il soul isterico di Wilson Pickett allieta le mie orecchie. L’estate sarà calda e lunga, almeno così affermano certi signori che hanno a che fare con la meteorologia. Forse l’afa estiva sarà più sopportabile per i conti pubblici che, a quanto pare, sono con l’acqua alla gola. Sono contento che il crack della Parmalat trovi ancora spazio sulle pagine dei giornali e spero che il processo a Tanzi e soci si concluda prima della prossima glaciazione. Vorrei il 41 bis per ogni Barabba infame che ha fatto “economia creativa” con i denari dei piccoli risparmiatori, ma credo che sia difficile che un sistema così canceroso condanni se stesso. Mi chiedo se le banche riusciranno a ridurre questo paese nelle stesse condizioni dell’Argentina; forse è meglio che io prepari il passaporto per dirigermi in qualche paradiso fiscale. Le strade italiane sono lerce, gli abusi edilizi proliferano sotto l’impassività di leggi scritte con il culo, la speculazione ormai è un dogma morale, il nepotismo si conferma anche nel ventunesimo secolo, la corruzione è diffusa e tollerata quasi a ogni livello e la legge del taglione vige ancora in certe zone dello stivale italico: forse il tempo non passa così velocemente, probabilmente mi trovo ancora negli anni ottanta e non me ne rendo conto. Se penso all’Italia mi viene in mente uno di quei paesi dell’Est nati dalla caduta dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, con la differenza che, a mio avviso, le donne dell’Est sono più aitanti. Espatriare o no? Se dovessi abbandonare la mia patria non scriverei mai una nuova “A Zacinto”, ma manco per il cazzo.

Francesco

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