Penso che più tardi ascolterò un pezzo dei R.E.M. chiamato “Daysleeper”. Ho voglia di addormentarmi: tra poco mi inabisserò nel letto singolo che si trova nella mia stanza e resterò in apnea sonnolenta per alcune ore. Non ho appuntamenti, non ho impegni e non ho programmi. Non mi dispiace passare il pomeriggio a letto, ma preferirei avere una buona idea per impiegare meglio le mie ore pomeridiane. In questo momento i miei occhi si aprono e si chiudono come quando si trovavano tra i banchi di scuola. Trascorro molto tempo a dare tempo al tempo. Mi sento così leggero da sfidare la gravità a colpi di aerofagia. Spesso il mio vuoto prende la parola ed è per questo motivo che a volte non ho un cazzo da dire. Il mio vuoto non è un’entità negativa: esso è il riassunto comportamentale dei miei disinteressi. Sono le tre di pomeriggio, emetto sbadigli accorati e lancio occhiate indifferenti verso il soffitto. Il mio stato di benessere è un paradosso che non riesco a spiegare. Voglio sbirciare nel futuro, ma non credo ai venditori con i turbanti né alle profezie dei miei connazionali. Vorrei essere un apolide, ma solo per narcisismo. Sono un italiano e disto centocinquanta chilometri dalla capitale della mia repubblica, ma alle volte mi sento molto più lontano, come un paracadutista della domenica che atterra nell’Aspromonte. Quest’oggi le mie parole formano frasi brevi e sconnesse: una traduzione scritta eccellente per i componimenti eterei formulati dal mio cerebro indolente.
Ho visto le fotografie di Erika De Nardo, celebre matricida e fratricida del famoso duo “Erika & Omar”. Mi piace la giovane assassina di Novi Ligure: trovo che abbia degli occhi molto espressivi e una dentatura imperfetta che mette in risalto la bellezza dei suoi zigomi. Non voglio scrivere un panegirico morale sul duplice omicidio della protagonista di queste prime righe, preferisco invece pormi un interrogativo: potrei innamorarmi di una ragazza colpevole di siffatte azioni? La risposta è affermativa. Sì: credo di essere in grado di sostenere una relazione d’amore con una ex detenuta, a patto che la passione non sia incarcerata. Questa breve riflessione mi è stata suggerita dal riacceso interesse delle cronache per la mia coetanea sopraccitata. Tra qualche giorno sosterrò l’esame di pratica per la patente e spero che nessuna delle ultime guide con il mio istruttore mi porti tra le mura di una casa circondariale o, peggio ancora, davanti alla parete di una casa cantoniera. Mi sento bene, ma credo che questo ormai sia sottinteso. Mi piace trascorrere le mie giornate con il turpiloquio e le scommesse, e credo che continuerò in questo modo ancora per un po’. Qualche mese fa una ragazza ha provato a intrattenermi con la descrizione di alcune opere di Bernini, ma il suo tentativo è stato vano. Non sono affetto dalla sindrome di Stendhal: preferisco una vittoria della Croazia, sulla quale ho scommesso quindici euro, alla scultura barocca, che non conosco e non so apprezzare.
Sono un po’ scombussolato: ultimamente le mie ore di sonno vanno e vengono in modo anomalo. Sabato ho stabilito un record personale: sono riuscito a dormire quasi diciassette ore. Mi piace questa fase della mia vita e sono felice di non avere responsabilità. Giugno si avvicina e presto applauderà il ventiduesimo anno della mia vita. Al momento non ho grandi progetti per il futuro, ma questo non significa che io sia incapace di cambiare radicalmente la mia vita. Posso rivoluzionare la mia esistenza in ventiquattrore, ma devo avere un buon motivo per farlo. Da alcuni giorni ho trovato un hobby costruttivo e salutare: le scommesse online. Mi diverto a puntare pochi denari sulle partite di calcio e a osservare con trepida attesa i risultati parziali degli incontri. Mi è sempre piaciuta la figura del giocatore accanito, che non rincorre il denaro, bensì la soddisfazione di ottenerlo senza lavorare. Nella mia mente si fanno strada le immagini dionisiache delle bische e dei loro partecipanti. La mia fantasia scorge abbastanza nitidamente i volti affranti dei giocatori perdenti, le cravatte sciolte utilizzate per tergere il sudore, le cantine affollate dalle grida maschili e la cartamoneta, che talvolta ondula in un’unica direzione. Purtroppo non sono un giocatore accanito e non frequento le bische: il mio intuito e un monitor LCD sono gli unici elementi che si frappongono tra me e il raggiungimento della soddisfazione derivata dalle vincite. Spero che tra poche ore l’Ham-Kam, una squadra di calcio finlandese, vinca o pareggi contro il Vålerenga. Le scommesse sono un buon modo per avvicinare i giovani allo sport: mi auguro che il Ministero dell’Istruzione prenda nota.
Mi muovo nel traffico a cavallo di un rinoceronte albino. Osservo targhe alterne tutte uguali e spero di sorpassare il grande smeraldo prima che vada in frantumi per lasciare il posto a un nuovo rubino. I microbi e le formiche allestiscono l’ultima cena sulle strisce pedonali, mentre i gabbiani addestrati dalla libertà planano tra le vetture e adombrano piccole porzioni di strada. Un uomo anziano grida contro una casa; le parole che escono dalla sua bocca si materializzano velocemente sulla parete esterna dell’abitazione. Alcuni porporati sono seduti attorno alla triangolarità di un tavolo e osannano la mercificazione della loro fiaba religiosa. Taluni perdono la fede nel loro dio mentre altri la trovano in giacenza alle Poste. Certi bracconieri fuori luogo osservano con cupidiga il corno del mio rinoceronte, ma per mia fortuna i loro fucili da caccia sono in pausa per il pranzo e non possono essere utilizzati per l’ennesimo safari fuori programma. Una mistura urbana di acqua santa e piscio di gatto gocciola lenta dalle grondaie. Un pittore fallito dipinge un tombino in mezzo all’alta velocità delle auto e spera che un paraurti faccia conoscenza con una delle sue tempie. Il mio occhio scorge una prostituta altolocata: tale bagascia offre i suoi servigi sessuali per conoscere tutto delle persone che si rivolgono alla sua vulva e in cambio chiede loro il permesso di realizzare litografie delle loro anime da cedere a Belzebù o a uno dei suoi garzoni. Una donna vecchia, ricca, tirchia e senza denti porta un cartello al collo sul quale campeggia quanto segue: “Vi prego, donatemi un anno della vostra vita, fatemi tornare giovine per assaporare di nuovo il cibo con i denti”. Per adesso la vecchia ha raccolto solo nove anni, deve elemosinare ancora tre decadi per assecondare la sua inclinazione taccagna e provare di nuovo la sensazione della carne tra i denti. Il crepuscolo si avvicina mentre un phon invisibile riscalda gli architravi e le colonne che sostengono l’urbe.
Ho avuto la mia prima connessione a Internet otto anni fa e ricordo che già allora ero inconsapevolmente incuriosito dall’aspetto sociologico del mondo telematico che stavo scoprendo. Durante la mia adolescenza sono stato un’internauta famelico: ho letto molte storie, ho passato molti pomeriggi e molte sere a discorrere con italiani e stranieri, e ho appreso un’infinità di drammi e di speranze multimediali. Oggigiorno la mia curiosità adolescenziale è svanita e per questo motivo discuto poco e con pochissime persone, nonostante io sia connesso abbastanza spesso. Credo che Internet, nel suo aspetto nazionalpopolare, non sia altro che un amplificatore per certi elementi latenti che accomunano molte personalità. Trovo che questa rete eterea rappresenti perfettamente il mondo e i suoi bisogni. La più grande rete del mondo raccoglie ogni giorno la ricerca atavica del sesso e la ricerca altrettanto ancestrale dell’amore, la corsa alla pecunia, l’esasperazione del fanatismo religioso e politico, e la ricerca di una qualsiasi panacea; allo stesso tempo la rete delle reti adorna il proprio flusso di dati con pubblicità atte a creare bisogni e a proporre soluzioni fallaci a problemi antichi quanto l’umanità. È stato scritto molto riguardo a questa rivoluzione telematica e le mie parole sono solo le brevi impressioni di chi ha visto e continua a vedere l’evoluzione dei costumi dettata in parte dalla tecnologia. Penso che alcune persone si sentano protette davanti a un monitor e ritengo che alcune di esse siano convinte di risolvere i propri problemi con una falsa identità virtuale. Un mezzo di telecomunicazione veloce e capillare come Internet può aituare la vita, ma non può sostituirla; questa rete non è il succedaneo informatico dell’uomo. Per me le parole hanno poco peso ed è per questo che non riesco a dare molta importanza a un luogo come Internet che si basa su comandi e sintassi invisibili, ma questo non vuol dire che io non riesca a valorizzare certe persone. Conservo con piacere le storie di D., di A., di V., di B., di C. e di altre persone che in passato mi hanno intrattenuto con i racconti, più o meno veritieri, delle loro vite.
Oh figlio mio, tu devi capirmi; non posso metterti al mondo, non posso ingravidare un’aspirante madre, non posso prestare servizio alla maternità per nove mesi. Vedi figliolo, sono nato nella metà degli anni ottanta e per me la procreazione è una tradizione anacronistica. Perché vuoi nascere? La vita non è sempre divertente e alle volte può ridursi a una lotta senza fine per sopravvivere. Secondo me non dovresti reclamare il tuo diritto alla vita, ma intendiamoci, questa è solo la mia opinione. Vuoi davvero sopportare l’isterismo dei tuoi simili? Vuoi davvero sbucciarti le gambe vicino a uno scivolo? Vuoi davvero battere il capo contro il muro per un paio di equazioni irrisolvibili con la mente infatuata? Vuoi davvero annoiarti con le avance dei pervertiti? Vuoi davvero restare una sera a piegare un tovagliolo, da solo, al tavolo del ristorante abbandonato da Venere? Accidenti figlio mio, o sei tremendamente stupido o vuoi veramente vivere. Comunque sappi, caro figliuolo, che non sarò io a prenotarti il grembo. Comprendo le tue aspirazioni fetali, ma io sono a malapena un figlio e non me la sento di diventare un padre biologico né un padre ecclesiastico. Inoltre, figlio mio, tu mi costeresti assai: denaro per pannolini e giocattoli, altri soldi per le spese scolastiche e sportive, e alla fine, forse, mi ritroverei a staccare assegni a una squadra di avvocati per farti difendere dalle accuse di possesso di droga. Eh, la paternità non mi si addice. Per me sarebbe molto difficile assistere all’elefantiasi ventrale di una mia ipotetica compagna senza vomitare a ogni piè sospinto. Spero che tu capisca le mie ragioni, figlio mio: non sarai aborto né nascituro. Mi sarebbe piaciuto lasciarti in eredità il mio ozio, ma questo non accadrà perché tu non vedrai la luce.
Alle volte mi sento imbarazzato per coloro che credono di avere la verità in tasca. Ascolto pochissimo gli sproloqui delle persone che pretendono di rivelarmi una qualsiasi verità: per me questi profeti infrasettimanali sono delle povere zampogne stonate che tentano in ogni modo di appagare il proprio Ego. Amo la soggettività e penso che sia il periscopio più efficiente per scorgere le dinamiche della vita. Per me il dogmatismo è una peculiarità delle più grandi aberrazioni umane, ovvero una caratteristica tipica dei totalitarismi e delle religioni. È divertente osservare e udire i latrati degli imbonitori. Mi curo solo del lato comico di coloro che scrivono, proclamano e decantano improbabili diktat: che massa di coglioni antropomorfi. Le mie parole non si riferiscono alle sfere di potere, bensì alla gente comune, a quelle persone che tentano in tutti i modi di imporre il proprio punto di vista, come se per loro fosse più importante riuscire a convincere gli altri della validità del proprio pensiero invece di esplicitarlo e viverlo. Rispondo sempre con un’acquiescenza sarcastica ed esplicita ai comizi che ogni tanto vengono rivolti alla mia attenzione. Penso che occorra più propensione al relativismo, ma questa è solo una mia opinione: in quest’ultima frase c’è un’ironia volontaria. So già che in futuro mi imbatterò in qualche nuovo demiurgo che mi dirà: “Vedi Francesco, le cose stano così”. Talvolta mi domando se alcune persone siano convinte di ciò che dicono, o se invece si divertano semplicemente a fare gli smargiassi come io, alle elementari, mi divertivo a fare bolle di saliva nonostante la ferma condanna delle maestre.
Mi sono addormentato durante il pomeriggio e mi sono svegliato alle nove e mezza di sera. In questi giorni sono stato più inattivo del solito a causa del poco sonno e di qualche botta presa per sbaglio al piede destro. Vorrei andare a correre più tardi, ma non ho ancora deciso. Domattina avrò la mia diciottesima guida e prima della fine di maggio sosterrò l’esame di pratica per la patente: mi chiedo se per quella data sarò in grado di utilizzare la frizione e l’acceleratore senza spegnere il motore a ogni stop. Sul mio televisore ci sono le facce sorridenti di Ronaldinho e di tutti i giocatori del Barcellona. Mi piace molto giocare a calcio, ma non ne ho mai l’occasione. Ogni tanto mi ritrovo a palleggiare in casa da solo: un vezzo atletico ereditato dalla pubertà. Ho intenzione di spendere un po’ di cash per rifare il mio guardaroba: voglio comprare le maglie di alcune squadre di calcio estere da indossare al posto delle mie solite t-shirt. Sono propenso all’acquisto delle maglie della nazionale rumena, della nazionale giapponese, della nazionale messicana, del River Plate, del Valencia e del Flamengo. Probabilmente acquisterò altre maglie per ampliare il mio vestiario. Non mi vedo bene nei vestiti fashion, per questo opto per un abbigliamento adatto alle partite di calcetto improvvisate nei campi di periferia. Pongo fine a queste righe serali, prendo un vecchio pallone sgonfio e vado a palleggiare in salotto.
Le cronache continuano ad allietare i malati cronici. Una madre autorizza il decollo di un cucchiaino con pochi grammi di omogeneizzato a bordo. Devo abbassare il telefono e prenotare un biglietto per il prossimo ornitottero diretto nell’iperuranio. Quando cammino temo che le mie gambe adamantine mi abbandonino per scherzo in mezzo a una piazza gremita di panchine vuote. Le mie parole sono un po’ asociali e selettive, spesso si rifiutano di tessere un discorso con altri artigiani verbali. I piani alti del mio corpo non sentono il bisogno di essere compresi e lo stesso stato di non necessità è avverito anche dagli altri azionisti delle mie volizioni. Devo mettere il tappo alla penna, chiudere il calendario e segnare il giorno della partenza per l’iperuranio. Un signore tutto bianco dice che gli anni non perdonano: penso che il signore tutto bianco non capisca un cazzo. Un altro signore gira ventiquattr’ore al giorno con la sua ventiquattrore, sovente indossa una camicia di forza firmata da Roberto Cavalli e porta un cappio elegante al collo simile a una cravatta urlatrice. Ci sono subculture che non mi attirano e ce ne sono altre che cercano bersagli a tiro, ma io non sono né un bersaglio né un franco tiratore. Gli opliti sono tornati in voga: oggi impugnano modelli Siemens e stanno in formazione sotto i rosoni della Vodafone. Devo disfare le valigie che non ho mai preparato, regolare in ritardo la sveglia che non ho mai regolato in orario e restare immobile per la partenza verso l’iperuranio; porterò con me dell’inchiostro simpatico per scrivere cartoline completamente bianche a persone che non conosco e che probabilmente non esistono.