Mi trovo a passeggiare nel cuore di un parco, tra grossi cespugli di azalee sporgenti e vaste aiuole stracolme di peonie e orichidee. I platani dall’aspetto primaverile trattengono i raggi solari e lasciano che l’ombra conservi l’atmosferà di naturale sacralità di questo enorme spazio verde. Sotto un salice piangente vi sono due nipponici che intingono del pesce crudo nel wasabi. Il suono di un carillon raggiunge il mio orecchio e la mia curiosità si chiede se si tratti di un acusma. Il mio udito segue le tracce sonore e mi porta di fronte a una giostra situata in una piccola radura: un uomo con tre occhi, probabilmente uno zingaro deforme, mi invita a fare un giro. Sopra i cavalli di legno siedono dei piccoli mujaheddin che invecchiano a ogni giro: salgono da bambini, diventano uomini, appassiscono e alla fine il loro scheletro cade da cavallo per lasciare il posto a un’altra vittima dell’ennesimo circolo vizioso. Mi allontano dalla giostra e inizio a correre lungo un sentiero. A un tratto mi fermo e una vipera con un abito da sera si struscia tra i miei piedi per chiedermi qualche carezza: accontento il rettile e proseguo dritto. Alcune radici dispettose tentano di farmi inciampare ridendo maliziosamente a ogni loro tentativo. Per un attimo vedo nel futuro: decido di saltare sopra una roccia e di tuffarmi nel lago che si trova di fronte. Esco per sbaglio dal mio corpo e osservo trenta volte di fila il mio tuffo, poi ritorno nella mia carne e lascio che il presente faccia il suo corso: l’acqua non tende a riportarmi in superficie, ma mi spinge verso un abisso colorato.