Bogdan, il mio amico rumeno, sta per tornare in Italia. Purtroppo non lavorerà a Orbetello, ma a Roma. Il suo arrivo è previsto per la prossima settimana. Lo raggiungerò nella capitale e manterrò la promessa che gli ho fatto cinque minuti fa al telefono: offrirgli il pranzo a un ristorante cinese. Bogdan, che io chiamo Bodo, è un ragazzo dell’Est nato un anno dopo di me, nel 1985. Quando siamo insieme parliamo un idioma formato da termini inglesi, italiani e rumeni. Sono passati tre anni da quando ho conosciuto questo ex cercatore di un permesso di soggiorno. Ricordo le ore estive passate con lui nella stanza dalla quale sto scrivendo. All’inizio non lavorava e trascorreva la maggior parte del suo tempo a casa mia: mi dava lezioni di rumeno infruttuose, mi raccontava aneddoti della sua vita in Romania, a Bacau, mi descriveva la sua ragazza, Corina, e mi narrava, forse accentuando un po’ i toni, le gesta della sua banda di strada: gli Zimbru. Da una parte ci sono io, figlio dell’Occidente, dall’altra c’è Bodo, figlio adottivo della politica di Ceausescu. Non mi rimane che scrivere “multumesc Bogdan”.
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