Vedo un uomo altissimo in frac che fa danzare le proprie dita sopra i tasti di un pianoforte bianco. Sono l’unico spettatore presente in sala. Le note continuano a fluire mentre il grande sipario rosso inizia ad aprirsi. Il ritmo della musica si fa serrato e immagini concitate escono dal palco per incollarsi sulle pareti come presenze spettrali. In una ripresa obliqua vedo un uomo che si schianta con la sua cazzo di Renault contro un platano, nella stessa ripresa, ma da un’altra angolazione, osservo la morte dell’anima di una donna in salute. Le sequenze diventano sempre più truculente con l’aumento della rapidità del pianista senza volto. Un uomo schiaffeggia la propria moglie, la manda in coma e poi si uccide con un colpo di Beretta in bocca. Minorenni collassano sotto l’effetto dell’edonismo sintetizzato, mentre madri melodrammatiche gridano i loro nomi a nubi indifferenti. Sudo e mi tengo stretto al mio posto. Davanti a me passa una processione cristiana, un prete porta una grossa croce sulle spalle mentre comanda la marcia dei suoi chirichetti e orchestra le voci del loro pentimento. Nessuno di loro mi osserva, nemmeno con la coda dell’occhio. Continuano a passare davanti a me mentre il pianista non sembra intenzionato a frenare la sua frenesia. Le immagini iniziano a entrare e a uscire dal mio sterno. Vedo crocefissi, icone sacre, cassette per le offerte e corpi in offerta sulla soglia di porte e portoni. È l’anifetatro di un terrore moderato: la vera paura non è trascrivibile in nessuna lingua umana. Apro gli occhi e smetto di scrivere.
Per me la primavera inizia questa mattina. Respiro un’aria nuova e mi sento scaldato da un sole in bermuda. Mi piace molto questo periodo perché esercita su di me un effetto tonificante che rinforza la mia calma adamantina. Ogni anno, durante la seconda metà di marzo, la mia mente fa sempre retromarica: affiorano i ricordi della confusione scolastica, le azioni irrazionali tipiche degli adolescenti e le immagini di giornate assolate e isolate. Dopo qualche amarcord metto la prima e mi dirigo verso il futuro per impedire che il piacere del passato annuvoli la bellezza del divenire. Il mio stomaco si ribella e vuole cibo. Stamane ho fatto venti chilometri in cyclette impiegando meno di quaranta minuti e il mio organismo, giustamente, chiede rifornimenti. A pranzo degusterò del riso integrale condito con i carciofi, addenterò un po’ di frutta e scaverò tra gli abissi di un vasetto di yogurt. Credo che nemmeno una malattia improvvisa possa turbare il mio stato di grazia. Alcune volte mi chiedo se il mio sia un benessere reale o il semplice frutto di una mia convinzione inconscia. Penso che il mio benessere sia vero perché non riesco a mentire a me stesso, ma per sicurezza tengo sempre sotto controllo la sua veridicità. È quasi mezzogiorno e tutto va bene.
Circa tre anni fa un uomo freddò la sua ex moglie davanti al duomo di Orbetello, a trecento metri da casa mia. Le sparò un colpo in faccia e si diede alla fuga verso Porto Ercole. Fu arrestato, processato e condannato. È disarmante come lettere dolci possano trasformarsi in un semplice numero di pronto intervento: 113. Una donna un tempo madre e moglie si è ritrovata in un corpo senza vita tra rivoli di sangue. Anche oggi è stato commesso un uxoricidio in quel di Monza. La passione è un’arma a doppio taglio in mano a milioni di persone senza porto d’armi. La gelosia e la rabbia formano un cocktail drogato che altera la percezione della realtà e mette in moto i meccanismi più selvaggi della natura umana. Credo che il delitto passionale sia un sigillo ineluttabile che l’omicida mette sulla propria vittima per legarla a sé. Ogni giorno i lettori della cronaca quotidiana fanno incetta di molestie, stupri, privazioni e di altre storie di degrado sociale. Troppo spesso l’uomo usa il cazzo al posto delle facoltà intellettive. Vivo in un mare di merda come altri sei miliardi e mezzo di persone, ma ogni giorno trovo sempre qualche motivo per sorridere.
Non sostengo nessuna fazione politica e mi sono sempre astenuto dal voto elettorale a causa della mancanza di qualcuno che mi rappresenti. Ieri Milano è stata teatro di scontri tra i cosiddetti “autonomi” e le forze di polizia. Mi attrae la guerriglia urbana perché la immagino come una grande fonte adrenergica. Caschi come elmetti, sassi come proiettili partigiani, trincee formate da automobili, scooter e cassonetti, divise blu da una parte e blue jeans dall’altra. Scoppi, fumate nere, odori acri, incitamenti e minacce. Una follia controllata che riporta l’homo sapiens allo stato brado in mezzo alla flora tossica della giungla urbana. Tafferugli, si chiamano tafferugli le lotte tra i figli del potere legislativo e i nipoti di un disagio sociale atavico. Sono un borghese che non si preoccupa delle motivazioni che stanno alla base degli scontri, mi interessa solo l’aspetto scenografico della rabbia popolare. Probabilmente i miei occhi osservano con sadismo le riprese faziose delle televisioni pubbliche e private. A differenza di tanti altri credo di essere cosciente del mio disinteresse nei confronti delle problematiche sociali e non fingo una preoccupazione ipocrita solo per darmi un tono o per evitare di essere tacciato di qualunquismo. Mi ha madre ha fatto il ’68, io nel 2006 faccio lo spettatore annoiato.
Durante il pomeriggio ho pedalato per trenta chilometri davanti a un telefilm, mi sono masturbato prendendo spunto dal video di una fellatio e infine mi sono fatto una doccia bollente. Non sono molto stanco, ma voglio dormire ugualmente. Tra poco le mie funzioni neurovegetative rallenteranno e la mia coscienza inizierà ad assentarsi. Domattina pedalerò più del solito e tenterò di finire la lettura de “I Rifugi della Mente”. Nel corso della prossima settimana mi arriveranno alcuni libri riguardanti il kendo e il bushido, e anche un atlante illustrato della filosofia . È mero consumismo. Ho letto il mio primo libro a diciotto anni: “Una Vita Violenta” di Pasolini, acquistato nella libreria della stazione Termini durante una giornata afosa. Se avessi una buona padronanza della mia lingua madre farei lo scrittore, ma le mie conoscenze mi consentono solo di essere un segaiolo sorridente che incastra frasi.
Il mio sabato pomeriggio è avvolto da un silenzio imperturbato. Mi piacerebbe poter serrare lo sguardo e vedere ciò che accade in questo momento in ogni loco terrestre; vorrei fare zapping tra l’emisfero australe e quello boreale. I vetri della mia finestra sono un po’ sporchi, devo ricordare alla mia volontà di pulirli. Ho bisogno di pisciare, ma non urinerò fino a quando non avrò svuotato il sacco di parole quotidiane. In questo preciso istante ci sono cellulari che squillano e persone che non rispondono, suonerie fastidiose e becere provocano inquinamento acustico nell’autismo generale. Parole non dette, mezze verità, desideri repressi: sono felice di essere fuori da questo circolo vizioso. La mia calma assomiglia a una donna nuda che riga il suo corpo con un cubetto di ghiaccio. Non sono un fatalista, ma credo che tutto vada come deve andare. Io vado adagio, come una barchetta ellenica che circumnaviga Cipro sopra le correnti del Mediterraneo. Da tanto non irrito più i miei occhi con la salsedine, nonostante il mare disti solo tre chilometri dalla mia magione. Mi chiedo se sia io a vivere al margine o se il centro della pagina sia un luogo poco frequentato. Le mie domande sono delle vedove lesbiche alle quali mancano le risposte. La mia carne chiede sudore e la mia voglia di pedalare acconsente alla richiesta.
Mi sono alzato alle nove e mezza dopo quasi dieci ore di riposo tombale. Mi sento in forma e anche stamane non riesco a trattenere il mio sorriso. Le mie lettere sono scandite dai tocchi di “Cause We Ended As Lovers” di Chieli Minucci, un ottimo chitarrista jazz fusion. Sto fluttuando a mezz’aria senza rendermene conto. È il mio senso di leggerezza e di quiete che mi fa levitare sopra i patemi comuni. Non so che sensazioni diano le droghe, ma non credo possano creare una sola allucinazione migliore della mia realtà. Sono io che mi porto dietro l’Eden terreno o è quest’ultimo che segue i miei passi? Sono appagato, ma non completo. La mia parte complementare è assente, essa latita per il globo senza che io conosca le sue fattezze. Non posso diramare un ordine di cattura né affiggere manifesti con su scritto “wanted” perché non conosco i tratti della mia metà; la mia parte complementare è un po’ come Maometto, non può avere un volto prima della sua apparizione. Non so se avrò mai una visione mistica di lei in abito da sera o in cardigan, non so se avrò mai modo di tenere il suo kajal, e soprattutto non so se conoscerò mai le forme irregolari della sua anatomia. È una giornata stupenda e per oggi mi basta sapere questo. Non posso spiccare il volo perché sono già in aria; posso solo volare più in alto. Chieli Minucci continua a dispensare assoli a destra e a manca, e questa volta è il sound ottimista di “The Sun Will Always Shine” che rimbalza sulle pareti della mia stanza. La mia bocca è ancora permeata dal piacevole gusto dello yogurt ai frutti di bosco che ho fagocitato quasi due ore fa, le mie mani sono un po’ fredde e profumano di sapone di Marsiglia, mentre le mie gambe, un po’ villose, chiedono con insistenza di percorrere lunghi chilometri immobili sopra la cyclette. Fermo l’ingordigia della scrittura e conservo parole per le ore a venire.
Mi vedo in una zona imprecisata dell’Asia. Deambulo tra animali da soma e teste coperte dalla kefiah. Sono circondato da tante parole rumorose dedite allo scambio di mercanzie nel polveroso bazar cittadino. L’architettura dell’urbe è ammantata dalla sacralità delle divinità aniconiche e dalla memoria di una ritualità ancestrale. L’aria è viziata dagli odori pesanti provenienti dalle cucine di donne stanche e rassegnate. Uomini anziani sbirciano le anime dei passanti, mentre i bambini, che un giorno prenderanno il loro posto, corrono senza una meta tra lo stridore delle voci coperte dall’ala della povertà. Il sole disegna ombre all’interno di vecchie automobili e fa risplendere i ricordi dei cofani arrugginiti. Uomini scuri, nel pieno del loro vigore, accennano melodie etniche e sussurrano imprecazioni contro le radiazioni solari. Donne troppe belle per l’umanità sperano che io non le guardi, e allo stesso tempo si augurano che io deluda le loro speranze per imboccare il loro ingenuo narcisismo; il volto della loro femminilità è avvolto dai colori del chador. Qua il cielo non è blu, è biblico. Io, feroce bestemmiatore maremmano, puro miscredente, non riesco a pofanare l’etere di questa incantevole valle di un passato presente.
È nato un altro giorno. Pulsioni incontrollabili e noia tra i banchi di scuola, desideri repressi e serenità tra le pareti degli uffici, sguardi criptici in ogni angolo del mondo urbanizzato. Ogni giorno viene presentato un menù diverso al tavolo di ogni individuo; tragedie o eventi lieti, rivoluzioni personali o silenzio reazionario, fasce da nascituro o crisantemi da defunto. Il tempo è testardo e stacanovista, dietro di sé lascia rughe e libri di storia. Mi eccita il divenire di ogni cosa e sono felice di invecchiare senza fretta. Il mio lato infantile è ancora legato agli anime giapponesi e ai videogiochi, infatti il mio ludo fa perno sull’industria dell’intrattenimento del Sol Levante. Credo che il tempo perso sia quello dedicato al conteggio della perdita del proprio tempo. La mia scrittura è un po’ sconnessa perché non subordino immagini improvvise al rigore della logica. È una giornata stupenda, nonostante sia priva di qualcosa di speciale.
Sono esaltato dalla mia esistenza. Difendo il mio senso dell’amore a spada tratta e seguo un mio codice morale che non ha radici in nessun credo religioso. Ho lasciato dietro di me molte persone melliflue e ho ucciso l’importanza delle loro carni. La mia katana è formata dalla parola e dall’azione. La lama del mio verbo ha trapassato legami consanguinei e rapporti longevi. Tutta questa violenza morale è dovuta al mio desiderio di dilaniare le maschere che insinuano la mia integrità. Non voglio essere sottomesso dalle orde della falsità e della comodità, non voglio compromettere né contrattare la purezza dei miei sentimenti solo per evitare la mano oscura della solitudine sine die. So che dipingo con tinte epiche il mio comportamento integralista nei confronti dei sentimenti e non posso farne a meno. Mi sono educato da solo in un isolamento prolungato, non temo più il silenzio e il vuoto, e so che la via giusta per i miei passi è rappresentata dallo sguardo di una mademoiselle di cui prendermi cura nel rispetto della sua individualità. Forse la mia età mi rende ancora troppo acerbo per addentrarmi così in profondità, ma non temo il tempo né la perdita della mia primavera. Sono armato di parole e pronto a essere concreto ipso facto. Sorrido con determinazione perché sono in stato di grazia.