La quiete continua a tessere le mie giornate. Non ho impegni, eccetto le lezioni di pratica per la patente di guida. Possiedo molto tempo a mia disposizione, ormai sono un magnate dei minuti. Cerco di tenermi occupato con la lettura, con la musica, con l’esercizio fisico e con i mezzi d’intrattenimento, nonostante ciò alla fine di ogni giorno noto ancora la presenza della mia opulenza temporale. Stasera non ho ancora deciso se masturbarmi o meno, probabilmente lascerò il verdetto al lancio di una moneta da cinquanta centesimi. Vorrei che il palinsesto televisivo, durante la notte, mi concedesse la visione di vecchi telefilm polizieschi. Ricordo alcune notti passate a vedere NYPD e Hill Street Blues su Canale 5, Magnum P.I. su Rete 4 e Miami Vice su Rai Tre. Sto ascoltando un intenso duetto tra basso e sax; A Remark You Made di Brian Bromberg. Continuo a guardare i giorni in attesa di notare quello vestito con l’abito del cambiamento. Al momento la mia esistenza non ha un vero senso e credo che non sia indispensabile trovarne uno, tuttavia mi piacerebbe dare un significato particolare a ogni mio respiro.
Si alza dal letto e si dirige verso il bagno per farsi una doccia. Mi alzo anch’io, mi vesto e percorro i suoi stessi passi. Tocco il collo della mia t-shirt ed è entro nella doccia assieme a lei. Le nostre carni sono lapidate dalle gocce di acqua calda e rinvigorite dall’odore del bagnoschiuma. Voglio che si senta al sicuro e che mi mostri i suoi polsi senza tagli. Il mio cranio ha bisogno di stare vicino al suo seno per annullare le temperature siderali che spesso lo imprigionano in una ibernazione affettiva. In due durante le notti d’estate, tra la discrezione di quattro mura, sotto un lenzuolo leggero; televisore acceso, luce spenta, finestra aperta, sonno incombente e ritualità affettiva eseguita a quattro mani. Mi piace massaggiare le sue spalle e sentire i ringraziamenti scricchiolanti dei suoi arti esili e aggraziati. Il suono della sua voce è anonimo, ma lei è in grado di sostituire le corde vocali con le corde del suo intimo. Lei mi parla dalla sua interiorità: un angolo buio, dove è genuflessa con le ali abbassate e il capo chino, lo sfondo è nero, cupo. Un lago grande quanto la sua piccola mano allunga i cerchi creati da una lacrima perenne. La guardo, spalmo un po’ di balsamo sulla mia testa e poi passo due dita sulle sue labbra per farle sentire l’aroma di vaniglia del detergente. È l’eternità sancita da due mortali.
Per me il basso di Marcus Miller rappresenta il concetto di groove. È incredibile cosa possa creare questo polistrumentista di New York. Un gigante nero di Brooklyn che a ventidue anni ha prodotto Miles Davis. Ieri sera, dopo una sega, mi sono guardato un suo concerto e ho raggiunto il vero orgasmo a ogni suo slap. Mi dispiace non possedere una cultura musicale da musicista per apprezzare con più cognizione certi virtuosismi tecnici. Durante la mia adolescenza sono stato accompagnato dalle sonorità dell’hard rock e del death, black, power e heavy metal. In questa stagione della mia vita sono il jazz fusion, l’hip hop e il grindcore a comporre la colonna sonora delle mie giornate. Amo la violenza distorta dei Napalm Death, così come adoro l’irrazionalità di Miles Davis, il flow di Talib Kweli, dei Lords of the Underground, di Sticky Fingaz, le melodie progressive metal dei Fates Warning, l’isterismo dei Led Zeppelin, gli assoli di Joe Satriani, i beat di Premier e la sperimentazione di Allan Holdsworth. Esistono troppi nomi da citare. Credo che la musica sia la più grande invenzione empatica creata dall’essere umano e sono felice di esserne assuefatto, nonostante il mio ruolo sia quello di mero ascoltatore.
Era affacciato alla finestra e osservava le persone senza vederle. Dennis era un bellissimo ragazzo, cieco dalla nascita. Talvolta alcune ragazzine, in preda agli ormoni adolescenziali, gli sorridevano con timidezza e ammirazione; lui, ovviamente, non poteva rispondere ai sorrisi delle ninfette di quartiere. Aveva un profilo rubato alla scultura ellenica, capelli neri rasi, occhi verdi accecati dalla loro stessa bellezza, un corpo statuario e un animo fragile. Amava la musica e fin da fanciullo aveva mostrato ottime capacità al pianoforte. Il suo lato artistico e sensibile aveva una controparte irosa e violenta; Dennis picchiava la madre perché la riteneva colpevole del suo handicap ed ella non riusciva a biasimarlo nonostante soffrisse molto le percosse della sua prole. Un figlio frustrato e una madre vittimista abitavano a Groningen, nel nord dell’Olanda, in un appartamento di cinquanta metri quadri. Suo padre, un avvocato di Amsterdam, si era separato da sua madre e aveva costruito una nuova famiglia con una venticinquenne cecoslovacca. Il sincipite di Dennis teneva segregati complessi e sensi di colpa. Dennis non poteva lavorare e non amava restare in casa tutto il giorno; alcune volte trascorreva interi pomeriggi a imitare Thelonius Monk con i tasti del vecchio pianoforte di sua nonna. Per un breve periodo riuscì a lavorare presso un piano bar, ma dopo pochi mesi il locale chiuse e i nuovi propietari ne fecero una ferramenta. Dennis era solito passeggiare molto quando i suoi fantasmi gli impedivano di vegetare tra le mura domestiche. Emilie, una sua vicina, lo guardava spesso di nascosto, ma lui riusciva ugualmente ad avvertire la sua presenza. Lei era alta un metro e settanta, capelli lunghi, castani e ricci, occhi marroni, un po’ in sovrappeso, trentanove anni sulle spalle e poco sotto di esse un seno giunonico. Voleva attirare il giovane aitante a sé per accarezzare il suo sguardo vuoto e per servirlo come una madre e come un’amante. Un giorno Emilie invitò Dennis a casa sua per pranzo. Lei, per l’occasione, si truccò pesantemente e indossò un vestito con un’ampia scollatura. I due, diciannove anni lui e trentanove lei, pranzarono immersi in un silenzio a volte imbarazzante. Dennis aveva capito le intenzioni della sua vicina, ma aspettò la fine del pranzo per farle capire che anche lui la desiderava solo ed esclusivamente per fottere, senza complicazioni (così i due protagonisti le avrebbero chiamate) di carattere sentimentale. Emilie conosceva la passione musicale di Dennis e per questo motivo, alla fine del pasto, si alzò, prese un vecchio vinile dei Commodores, si sciolse i capelli e iniziò a dondolare i fianchi al suono della voce di Lionel Richie. Anche Dennis si alzò e iniziò a cercare la sua baccante. Lei si avvicinò alla bocca del suo ospite e gli chiese se desiderasse altro. Lui allungò una mano sul seno materno della sua vicina, lei sospirò per un attimo e poi, inclinando il capo e spostando un po’ i suoi capelli, iniziò a baciare il collo del suo giovane amante. Emilie prese Dennis per la mano e lo aiutò a raggiungere il letto a due piazze. Il seno di lei era quasi nudo, il corpo di lui era ancora avvolto dalle vesti umane. I due stavano per gettare i loro indumenti, le loro inibizioni e qualsiasi regola morale che potesse ostacolare l’estasi di un’attrazione innocente e compulsiva. Dennis si erse sopra il corpo di lei, cercò la sua bocca con le dita e la sua libidine con l’udito. Ci fu una penetrazione lenta, con la schiena di lei spesso inarcata a seguito dei colpi di lui; nella stanza si dispersero alcuni fonemi della lingua dell’eros per celebrare il ritorno all’origine della vita. Tutto ciò accadde mentre Mitra continuava a battezzare nuove gioie e antichi drammi di altri esseri umani in cerca della complicità dei loro simili.
Nel mio armadio non ci sono camicie né jeans. Adoro le t-shirt anonime e i pantaloni sportivi. Il mio abbigliamento è minimalista e bicolore; mi disgustano le cerniere, i bottoni e le cinture. Non ho nemmeno una cravatta, l’unico soprabito che possiedo mi è stato comprato da mia madre e non l’ho mai indossato. Durante l’inverno, per uscire, uso solo felpe e pantaloni leggeri con l’elastico. Talvolta il mio look da clandestino cossovaro è considerato come una mancanza di stile e di gusto. Voglio che nel giorno del mio funerale il mio cadavere sia vestito con bermuda e t-shirt. Non mi piacciono nemmeno: le catene, gli anelli, le spille e le fibbie. Ho bisogno della libertà di movimento e quindi abdico alle orripilanti tendenze fashion. Sono un minimalista anche per quanto riguarda il taglio dei capelli, infatti mi piace averli corti. Non sono un fautore del neonazismo, ma devo ammettere che è piacevole avere la testa rasata.
Il primo vento primaverile sta spirando in questa giornata satura di nubi. Dannazione, i vetri della mia finestra sono ancora sporchi perché ho dimenticato di pulirli. Tra qualche mese giungerà l’estate e le strade di Orbetello saranno riempite da padri dalla cadenza romana, dalle loro figlie con i culi coperti dai tanga e da signore non più giovani in preda al desiderio di spendere e spandere. Non ho nulla in programma per l’estate tranne il solito invito dell’ozio. Una di queste notti mi piacerebbe immergermi nelle acque termali di Saturnia e restare a galla almeno tre quarti d’ora. Oggi è il sassofono di Kirk Whalum che mi tiene compagnia prima del desinare. Osservando la mia foto ho notato che ho le guance un po’ scavate e forse è meglio che io riprenda un po’ di peso prima di iniziare una partita a scacchi con l’anoressia. Evidentemente mi alleno troppo e non rifornisco abbastanza il mio organismo, tuttavia con la perdita di peso non ho avvertito una perdita di forza e mi chiedo come mai; probabilmente mi darò la risposta in una vita futura, quando sarò un nutrizionista. Mi avvicino sempre di più ai miei ventidue anni e lo faccio, per fortuna, con somma serenità. Mi fa ridere la mia ultima frase perché sembra quasi che io veda i miei ventidue anni come un vecchio vede vicini i suoi ottanta.
Questo mondo mi offre tante occasioni per ridere. Molti tentano di mettere in scena spettacoli melodrammatici, ma io percepisco i loro atteggiamenti come cabaret. Non riesco a trattenere la mia ilare di fronte alle ostentazioni di problemi irreali che spesso non sono altoro che un espediente per attirare l’attenzione. Credo che sia normale desiderare la considerazione delle persone, ma i miei muscoli non possono fare a meno di contrarsi in risate spasmodiche davanti agli escamotage di certi individui. Persone che tentano di vestire i panni dei personaggi più variegati: alcuni profetizzano, altri dispensano consigli su questioni a loro sconosciute, altri asseriscono di essere condannati a una vita di supplizi e altri ancora tentano di mettere in mostra qualità che non possiedono. Ci sono molte sfaccettature, io ho riportato solo quelle che ho visto nel corso della mia giovane vita. Penso che molti non riescano ad accettare la propria nullità e tentino in tutti i modi di affermarsi. Per me la nullità non è qualcosa di spregevole, non intendo dare un’accezione negativa al termine. Io mi sento una nullità, ma sto bene e credo che questo sia l’importante. Non mi interessa essere osannato o ricordato, non rincorro onorificenze né altri tipi di riconoscimenti, ormai non mi preoccupo nemmeno più di assicurarmi che gli altri conoscano la mia vera personalità; io sono sempre pronto a svelarla, ma non a perdere il sonno né la veglia per tentare di spiegare i miei comportamenti. Non temo più di essere frainteso e in questo modo proteggo la mia quiete e l’integrità dei miei testicoli. Continuo a ridere e a divertirmi perché la comicità umana è vasta e talvolta, ovviamente, rido anche di me stesso.
John McLaughlin suona per me le note di “When Love Is Far Away”, un ottimo pezzo che si intona con la mestizia notturna. È una malinconia romantica e passeggera, come un attimo di pioggia a ciel sereno. Sono estasiato senza un motivo particolare e provo la strana sensazione di essere nato tanto tempo fa. Mi fermo un attimo, bevo un po’ di acqua dal collo della bottiglia e penso a come proseguire queste righe. Un anno fa camminavo spesso tra le strade notturne della mia cittadina e talvolta ero accompagnato dai latrati dei cani randagi e dalla sagoma della volante di turno. “Documenti prego”, mi è stato chiesto più di una volta. Orbetello è meravigliosa perché sembra che galleggi sull’acqua. Merda, non sto seguendo un filo logico, ma non credo che sia grave. Forse questo breve scritto non è altro che un monologo evaso dalla mia mente e trascritto da una mia volizione creativa a ritmo di fusion. Forse voglio dare troppi motivi stilistici alle parole che incastro con la tastiera. Forse, e sottolineo forse, è meglio che io mi faccia una fotografia per soddisfare il mio narcisismo ingiustificato. Immortalerò il mio volto al prossimo risveglio.
Sono appena uscito dalla doccia. Ho trascorso la seconda parte del pomeriggio come avevo programmato: cyclette e pesi davanti agli episodi di City Hunter. Mi piace la stanchezza leggera che transita nelle mie ossa, produce una variante della dolcezza che latita dalla mia esistenza e compensa la mia mancanza di effusioni. Oggi mi sono fatto la barba e ora ne approfitto per toccarmi il viso; le mie dita accarezzano le guance con un po’ di innocenza e con un po’ di malizia legata all’autoerotismo. In questo momento mi piacerebbe cingere il girovita di una baccante speciale e preparare con lei una cena semplice e gradevole al gusto. Le mie proiezioni fantastiche, che elaboro con cadenza fissa, possono sembrare sintomo di dissociazione mentale, ma ho la presunzione di credere che pochi come me abbiano i piedi ben saldi sul filo della realtà. Non mi sottraggo mai al confronto con gli altri e sono sempre pronto a mostrare la nudità del mio carattere. Nel bene e nel male voglio che il mio viso sia l’effige delle mie azioni, per questo non mi nascondo dietro l’anonimato che può offrire la società moderna. Ho conosciuto persone che asserivano di disprezzare l’ipocrisia, ma la realtà e la sua concretezza hanno dimostrato che quelle persone erano le prime a mentire a loro stesse. Non esiste ipocrisia nella società, come tanti finti ribelli brufolosi asseriscono, esistono solo collettivi di stronzi, come forse è giusto che sia nell’equilibrio morale dell’uomo. Una pizza margherita è pronta sulla mia tavola. Concludo con un importante avvenimento odierno: mi sono ricordato di masturbarmi.