Vedo i capelli biondi della mia giovane nordica adagiati sopra un cuscino bianco. La stanza nella quale mi trovo ha pareti in vetroresina e permette di vedere le profondità marine nelle quali è stata edificata la nuova Atlantide. I raggi solari ammortizzati dalle acque oceaniche creano maestosi giochi di luce che si propagano per tutta l’urbe sottomarina. Dalla finestra della nostra stanza posso vedere la grande arteria che attraversa la città, un lungo corso popolato da un numero infinito di ristoranti che offrono sapori etnici provenienti dalla superficie. Sono presenti casinò e case chiuse, per chi vuole provare il gioco d’azzardo e il sesso a pagamento a duecento metri sotto il livello del mare. In ogni strada vi è almeno uno schermo enorme che mostra le pubblicità delle multinazionali terrestri. In queste strade immerse nell’oceano non esistono veicoli a motore e gli abitanti idrofobi possono scegliere se muoversi in bicicletta o utilizzare la rete di trasporti formata da vagoni alimentati elettricamente. Volgo lo sguardo verso J. e sorrido. Mi piace osservarla quando dorme perché durante il sonno è una vera opera di dolcezza umana. Toc toc alla porta, prendo una t-shirt, me la metto con calma e apro. “Buon giorno, grazie”, rispondo al giovane cameriere appena mi passa il vassoio con la colazione. Appoggio il cibo sul tavolo in noce e torno alla finestra. Mi volto nuovamente e mi inginocchio ai piedi del letto. Scosto le lenzuola azzurre e inizio a passare l’indice destro sopra le gambe di J. per svegliarla. Lei apre gli occhi e mi conferma di essere ancora in vita. Piccoli pesci passano davanti alla nostra finestra senza fare caso a noi e al nostro idillio. Guardo J. e le dico: “Ogni volta che ti svegli i tuoi capelli sono aberranti”. Non sono un bravo dissimulatore e infatti lei sorride e non mi crede. La voglia di rimanere qua è tanta, ma prima o poi dovremo tornare sulla crosta terrestre.
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