Si alza dal letto e si dirige verso il bagno per farsi una doccia. Mi alzo anch’io, mi vesto e percorro i suoi stessi passi. Tocco il collo della mia t-shirt ed è entro nella doccia assieme a lei. Le nostre carni sono lapidate dalle gocce di acqua calda e rinvigorite dall’odore del bagnoschiuma. Voglio che si senta al sicuro e che mi mostri i suoi polsi senza tagli. Il mio cranio ha bisogno di stare vicino al suo seno per annullare le temperature siderali che spesso lo imprigionano in una ibernazione affettiva. In due durante le notti d’estate, tra la discrezione di quattro mura, sotto un lenzuolo leggero; televisore acceso, luce spenta, finestra aperta, sonno incombente e ritualità affettiva eseguita a quattro mani. Mi piace massaggiare le sue spalle e sentire i ringraziamenti scricchiolanti dei suoi arti esili e aggraziati. Il suono della sua voce è anonimo, ma lei è in grado di sostituire le corde vocali con le corde del suo intimo. Lei mi parla dalla sua interiorità: un angolo buio, dove è genuflessa con le ali abbassate e il capo chino, lo sfondo è nero, cupo. Un lago grande quanto la sua piccola mano allunga i cerchi creati da una lacrima perenne. La guardo, spalmo un po’ di balsamo sulla mia testa e poi passo due dita sulle sue labbra per farle sentire l’aroma di vaniglia del detergente. È l’eternità sancita da due mortali.
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