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Tulipani ciechi

Pubblicato mercoledì 22 Marzo 2006 alle 14:31 da Francesco

Era affacciato alla finestra e osservava le persone senza vederle. Dennis era un bellissimo ragazzo, cieco dalla nascita. Talvolta alcune ragazzine, in preda agli ormoni adolescenziali, gli sorridevano con timidezza e ammirazione; lui, ovviamente, non poteva rispondere ai sorrisi delle ninfette di quartiere. Aveva un profilo rubato alla scultura ellenica, capelli neri rasi, occhi verdi accecati dalla loro stessa bellezza, un corpo statuario e un animo fragile. Amava la musica e fin da fanciullo aveva mostrato ottime capacità al pianoforte. Il suo lato artistico e sensibile aveva una controparte irosa e violenta; Dennis picchiava la madre perché la riteneva colpevole del suo handicap ed ella non riusciva a biasimarlo nonostante soffrisse molto le percosse della sua prole. Un figlio frustrato e una madre vittimista abitavano a Groningen, nel nord dell’Olanda, in un appartamento di cinquanta metri quadri. Suo padre, un avvocato di Amsterdam, si era separato da sua madre e aveva costruito una nuova famiglia con una venticinquenne cecoslovacca. Il sincipite di Dennis teneva segregati complessi e sensi di colpa. Dennis non poteva lavorare e non amava restare in casa tutto il giorno; alcune volte trascorreva interi pomeriggi a imitare Thelonius Monk con i tasti del vecchio pianoforte di sua nonna. Per un breve periodo riuscì a lavorare presso un piano bar, ma dopo pochi mesi il locale chiuse e i nuovi propietari ne fecero una ferramenta. Dennis era solito passeggiare molto quando i suoi fantasmi gli impedivano di vegetare tra le mura domestiche. Emilie, una sua vicina, lo guardava spesso di nascosto, ma lui riusciva ugualmente ad avvertire la sua presenza. Lei era alta un metro e settanta, capelli lunghi, castani e ricci, occhi marroni, un po’ in sovrappeso, trentanove anni sulle spalle e poco sotto di esse un seno giunonico. Voleva attirare il giovane aitante a sé per accarezzare il suo sguardo vuoto e per servirlo come una madre e come un’amante. Un giorno Emilie invitò Dennis a casa sua per pranzo. Lei, per l’occasione, si truccò pesantemente e indossò un vestito con un’ampia scollatura. I due, diciannove anni lui e trentanove lei, pranzarono immersi in un silenzio a volte imbarazzante. Dennis aveva capito le intenzioni della sua vicina, ma aspettò la fine del pranzo per farle capire che anche lui la desiderava solo ed esclusivamente per fottere, senza complicazioni (così i due protagonisti le avrebbero chiamate) di carattere sentimentale. Emilie conosceva la passione musicale di Dennis e per questo motivo, alla fine del pasto, si alzò, prese un vecchio vinile dei Commodores, si sciolse i capelli e iniziò a dondolare i fianchi al suono della voce di Lionel Richie. Anche Dennis si alzò e iniziò a cercare la sua baccante. Lei si avvicinò alla bocca del suo ospite e gli chiese se desiderasse altro. Lui allungò una mano sul seno materno della sua vicina, lei sospirò per un attimo e poi, inclinando il capo e spostando un po’ i suoi capelli, iniziò a baciare il collo del suo giovane amante. Emilie prese Dennis per la mano e lo aiutò a raggiungere il letto a due piazze. Il seno di lei era quasi nudo, il corpo di lui era ancora avvolto dalle vesti umane. I due stavano per gettare i loro indumenti, le loro inibizioni e qualsiasi regola morale che potesse ostacolare l’estasi di un’attrazione innocente e compulsiva. Dennis si erse sopra il corpo di lei, cercò la sua bocca con le dita e la sua libidine con l’udito. Ci fu una penetrazione lenta, con la schiena di lei spesso inarcata a seguito dei colpi di lui; nella stanza si dispersero alcuni fonemi della lingua dell’eros per celebrare il ritorno all’origine della vita. Tutto ciò accadde mentre Mitra continuava a battezzare nuove gioie e antichi drammi di altri esseri umani in cerca della complicità dei loro simili.

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