Il mio sabato pomeriggio è avvolto da un silenzio imperturbato. Mi piacerebbe poter serrare lo sguardo e vedere ciò che accade in questo momento in ogni loco terrestre; vorrei fare zapping tra l’emisfero australe e quello boreale. I vetri della mia finestra sono un po’ sporchi, devo ricordare alla mia volontà di pulirli. Ho bisogno di pisciare, ma non urinerò fino a quando non avrò svuotato il sacco di parole quotidiane. In questo preciso istante ci sono cellulari che squillano e persone che non rispondono, suonerie fastidiose e becere provocano inquinamento acustico nell’autismo generale. Parole non dette, mezze verità, desideri repressi: sono felice di essere fuori da questo circolo vizioso. La mia calma assomiglia a una donna nuda che riga il suo corpo con un cubetto di ghiaccio. Non sono un fatalista, ma credo che tutto vada come deve andare. Io vado adagio, come una barchetta ellenica che circumnaviga Cipro sopra le correnti del Mediterraneo. Da tanto non irrito più i miei occhi con la salsedine, nonostante il mare disti solo tre chilometri dalla mia magione. Mi chiedo se sia io a vivere al margine o se il centro della pagina sia un luogo poco frequentato. Le mie domande sono delle vedove lesbiche alle quali mancano le risposte. La mia carne chiede sudore e la mia voglia di pedalare acconsente alla richiesta.
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