Sono stato due volte nelle Antille e in entrambe le occasioni ci sono rimasto per un mese. Ero piccolo, avevo dieci anni e la fortuna di viaggiare con i miei. Nel primo viaggio caraibico ho raggiunto la Guadalupa e la Martinica, due isole appartenenti alla Francia. Ricordo l’interminabile volo transoceanico a bordo di un 747 della Air France, ricordo l’attesa all’aeroporto, il check-in e il contrasto di espressioni causato dalla frenesia dei passeggeri e dall’indolenza di alcuni lavoratori transalpini. La mia memoria non ha lasciato sbiadire il ricordo dello stupore che ebbi alla vista dell’imponenza degli aerei, indaffarati con decolli, atterraggi e intime comunicazioni con la torre di controllo. Non ho ricordi nitidi della mia permanenza sulle due isole, ma solo immagini frammentarie; uno di questi ritratti incompiuti rappresenta un bellissimo porto serale, costellato da luci economiche, ornato con le reti dei pescatori e profumato con un invitante odore di fritto proveniente da un ristorante sulla sabbia. Mi tornano in mente delle bellissime creole con un portamento sensuale e la strana eleganza delle loro vesti, le più semplici che io abbia mai visto. Il ricordo più profondo di quel mese centroamericano è la quiete scandita da tramonti lentissimi. Sono ritornato nelle Antille a distanza di un anno dal primo viaggio e sono restato un mese nelle Isole Vergini, più precisamente a Saint Thomas e a Saint John, entrambe appartenenti agli Stati Uniti. A Saint Thomas ho visto un poliziotto canuto, basso e tarchiato mettere le manette a un energumeno in canotta. Mi ricordo di essere stato ipnotizzato dalla volante perché aveva una foggia simile a quella delle auto del 911 tipiche dei telefilm polizieschi. I miei ricordi sono superficiali perché appartengono a un bambino italiano di dieci anni. Vorrei sporcarmi di nuovo i piedi con quella sabbia e degustare la cucina locale assieme alla mia inesistente compagna di vita.
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