È una semplice proiezione dell’intelletto, una candida fantasia del tardo pomeriggio. Vedo me stesso ormai quarantenne, disteso sopra un’amaca e cullato dal suo lento dondolio. Indosso un cappello di Panama con la tesa un po’ consumata, dei boxer e una t-shirt scolorita che raffigura l’isola polinesiana sulla quale mi trovo. Mia moglie passeggia al lato dell’oceano Pacifico; Cristo, è ancora bellissima. Sfila sulla sabbia con il pareo che le ho regalato, gioca con i suoi capelli castani e mi sorride con il suo sguardo transalpino, uno sguardo, ora, nascosto dalle lenti dei suoi occhiali da sole. Prima o poi torneremo in Italia e faremo un salto nella sua casa di Lione. Questa è una breve fantasia, è un lampo che illumina le 18:25 del mio 20 febbraio 2006.
Per me il weekend dura sette giorni a settimana perché la mia vita è pregna di ozio. Tra pochi minuti guarderò qualche puntata di City Hunter e mi diletterò con i pesi. La mia domenica notte non si prospetta particolarmente innovativa. Più tardi, forse, uscirò a fare due passi. La mia scrittura è molto sintetica in questi minuti, quasi essenziale. Ho voglia di un bel corpo caldo che contenga uno spirito femminile altrettanto splendido. Ho un’immane voglia di dolcezza e di frasi melense da sospirare all’ombra di un piumone. Ho voglia di perdere la mia verginità per amore e non solo per sborrare in una fica. Per stanotte mi accontenterò di un barattolo di yogurt ai frutti di bosco. Domani so che cambierà; infatti degusterò yogurt al mirtillo.
Queste ore notturne sono infarcite di silenzi e abbellite da luci soffuse, pigre e irritate: le luci dei monolocali che osservo dal basso, le luci dei lampioni, le luci delle auto che percorrono le strade comunali di questo territorio dedito al turismo. Sono luci che conosco, sono luci artificiali che illuminano per poco. Per me l’illuminazione non è la presunta unzione di una qualsivoglia divinità né la sosta prolungata in un solarium, credo invece che sia la costante capacità di attrezzare la realtà per ospitare la propria felicità. Occorre fare posto tra i pregiudizi e le delusioni, tra la pigrizia e la propria forza, tra ogni pausa e ogni causa di forza maggiore. Le parole non servono a molto perché non hanno concretezza immediata, e se io continuo a scriverle è solo perché, per ora, non ho di meglio da fare; credo che continuerò a scrivere per molto tempo. Queste sono parole sonnambule che dovrebbero riposare dentro me invece di traboccare dalla mia coscienza. Ecco ciò che farò nei prossimi dieci minuti: finirò di scrivere questo messaggio, spegnerò lo schermo, mi alzerò, spegnerò la luce della mia stanza, regolerò il volume del mio televisore e guarderò un film, uno a caso; mi stenderò sul letto, farò una carezza al muro e concentrerò i miei sensi da finto cinefilo sull’ignaro film che dovrà sopportarmi come spettatore.
Ho sistemato la mia stanza, adesso sembra più spaziosa. Sto ascoltando “Timeless Passion” di Chris Huelsbeck, un pezzo strumentale di musica elettronica. Questa rapsodia stende della carta velina lungo le pareti della mia mente per ricalcare immagini paradisiache che soventi pascolano nel mio encefalo. Vedo una giornata di sole con poche nubi per abbellire un cielo altrimenti troppo banale nella sua limpidezza, vedo me, mentre corro lungo la strada di un promontorio, vedo le mie braccia tese indietro e il mio capo rivolto in avanti; corro velocissimo. Mi piace questa strada e il senso di infinito scandito dall’orizzonte mobile di un oceano rivolto verso un nuovo continente. Adoro il guardrail perfettamente intatto e la strada su cui corro: l’asfalto quasi nero e nessun difetto sulla pavimentazione. Non c’è né inizio né fine a questa corsa in discesa. Se alzo la testa posso vedere l’ultimo spettacolo della corona solare prima dell’avvento della supernova. Metto l’ultimo punto a questo scritto e continuo a correre.
Two minutes to midnight, recitava il ritornello di un vecchio pezzo degli Iron Maiden. Oggi non ho parole da scrivere, ma solo un piacevole silenzio che voglio custodire con gelosia fino a domani.
Oggi sono pervaso da un grande senso di pace e appagamento. Non sono in grado di descrivere la piacevole sensazione che mi accompagna in questa giornata di metà febbraio. Sento una tranquillità imperturbabile, ma non atarassica. Tra qualche ora andrò a farmi un giro e cadenzerò i miei passi al ritmo della quiete che mi compenetra. Può essere veramente facile vivere. Credo che sia indispensabile proteggere la propria pelle con un’armatura in lattice, cosicché tutte le paranoie dei viventi scivolino senza lasciare residui. Nel globo terrestre pullulano molti schizofrenici e non credo che occorra evitarli, ma invece credo che sia indispensabile pesare ogni singola parola detta e udita per non sbilanciare il proprio giudizio e le proprie azioni nei confronti degli eventi e delle persone. Voglio incazzarmi solo per scherzo e continuare ad evitare di prendermi sul serio. È infantile giocare a fare l’offeso o l’incazzato, penso che sia sufficiente centillinare l’indifferenza verso gli elementi negativi della propria esistenza, siano essi persone, situazioni oppure vomitevoli programmi tv in onda in seconda serata. Ci sono infinite combinazioni con le quali aprire se stessi per liberarsi di ogni tormento. It’s so easy.
Ho superato l’esame di teoria per la patente B con quattro errori; ho fatto centro al primo colpo. Ottimo. Stamane la sala esami della motorizzazione era popolata da visi apprensivi e tristi, c’erano molti lineamenti scappati dalla lettura dello spleen, ma non dai suoi effetti depressivi. Ogni tanto mi dedico alla lettura superficiale dei blog italiani e noto, spesso e volentieri, un’amarezza diffusa e una grande disillusione nei confronti del futuro. Da quello che leggo e sento mi sembra che ci sia troppa negatività attorno alle menti delle genti, troppa attitudine alla depressione e poca voglia di riscatto. Non posso fare a meno di ridere alla lettura dei piccoli melodrammi di provincia, storie di passione da cui trarre infimi fotoromanzi da rivendere nelle edicole delle stazioni. Credo che alcune persone diano troppo peso a certe illusioni e proiettino i loro sogni su pareti formate da incubi. Per me la realtà è migliore di ogni chimera, ma è più difficile da gestire; sono armato di pazienza e non ho nulla da perdere. Concludo questo messaggio con una grattata di palle.
Tra quattordici ore mi troverò di fronte a un quiz composto da trenta domande. È la prima volta, e spero anche l’ultima, che affronto l’esame di teoria per la patente B. Mi alzerò alle quattro di notte, percorrerò tre chilometri per raggiungere la stazione di Orbetello, prenderò il treno per Grosseto e una volta arrivato nella città del grifone deambulerò per altri chilometri fino a raggiungere la motorizzazione. Non mi preoccupa risultare idoneo o essere bocciato; a dir la verità non mi preoccupa nulla. Oggi mi sono già fatto la sega quotidiana. È tempo di riposare.