Sento la mancanza delle mie sembianze fetali. Vorrei tornare nel grembo materno, aggrapparmi al cordone ombelicale e gioire nella mia forma prenatale. In questi giorni non c’è calore umano, la trincea è sempre più fredda e attorno al vuoto si dilatano distese di ghiaccio a perdita d’occhio. Mi diletto a guardare la caduta dei rami e gli affreschi provvisori delle nubi. Non so più parlare e il mio fucile semiautomatico non ricorda come si spara. Non sono di stanza al fronte. Sono di stanza nella mia stanza. Il tic tac di un orologio invisibile mi ricorda un impegno notturno: una breve corsa lungo le mura di ponente per tenermi in forma. Vorrei scolpire una nuova vita sulle rughe che mi aspettano e poi guardarmi allo specchio durante le prime luci di una qualsiasi domenica mattina.