Departure, ovvero partenza per gli anglofoni. In questo breve scritto uso la partenza in senso lato per buttare giù due parole sul distacco e sull’addio. Molte persone non accettano la partenza di qualcuno a loro caro e alcune volte per sopportare la separazione tendono a fare del male a loro stesse o agli altri. Credo che le delusioni siano un’inevitabile variabile della vita, qualcosa a cui non ci si può sottrarre, e io stesso ho una vasta collezione di fallimenti. Spesso la delusione è il deterrente contro la felicità e impedisce lo sviluppo della persona, ne castra i desideri e la rende sempre più vulnerabile durante la senilità. Ammesso che io non muoia prima, non voglio diventare vecchio e guardare una carrozza di marzapane colma di rimpianti, perciò do un valore unico a tutti gli eventi e a tutte le persone che si trovano a collidere con l’orbita della mia esistenza, ma se perdo un sogno fatto persona o se un evento diventa incubo, non faccio altro che lasciarmi alle spalle le speranze riposte in certe anime e la fiducia accordata a certe situazioni e mi preparo per una nuova semina. Coltivo il culto della fedeltà, amo essere schietto e non mi preoccupo di risultare ridicolo. La mia fede non ha a che fare con nessuna divinità folkloristica, ma solo con la sinergia della monogamia. È importante accettare ogni rifiuto, ogni porta chiusa in faccia e ogni divieto inviolabile, è altresì importante non farsi prendere a calci in culo dalla tristezza e dallo sconforto. In questa vita posso essere solo un monogamo e non ho intenzione di spendere più di un minuto a contemplare le delusioni: cinquanta secondi per capire la negazione e dieci secondi per voltarmi e fare dieci passi avanti. Bisogna accettare che gli altri partano quando non c’è la possibilità di rimandare, e con questo non mi riferisco solo alla sfera affettiva. C’mon, take it easy.
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